Massimo Bossetti non può parlare ma, in esclusiva sul prossimo numero di Credere, in edicola e in parrocchia da giovedì 25 agosto, don Fausto rivela per la prima volta come il muratore di Mapello, sospettato dell'assassinio di Yara Gambirasio, trascorre le sue giornate e dichiara: «Chiede che si interceda per sé e i familiari, i suoi figli e – com’è tradizione – le persone cui non pensa nessuno. Poiché si dichiara innocente, prega anche per la soluzione positiva del caso che lo vede coinvolto».
Don Fausto Resmini, cappellano del carcere di Bergamo.
Nell’intervista, don Fausto spiega che cosa vuol dire stare accanto, ogni giorno, a persone che hanno commesso delitti efferati, come si può accompagnarli spiritualmente e ci parla di misericordia, giustizia, pentimento e reinserimento nella società. «Che sia innocente o colpevole, a me è affidato un uomo. E in nome del Vangelo io mi incontro con un uomo. Indipendentemente da come è dipinto dalla stampa, da come è visto dal magistrato, da come è trattato dall’amministrazione carceraria, da come finirà quest’indagine. E in quest’uomo, ora il più indesiderato e scomodo, io devo dare ascolto alla sua richiesta d’aiuto, camminare insieme a lui, anche sfidando il pregiudizio».
Il cappellano è da 27 anni nel carcere di via Gleno e di detenuti ne ha conosciuti tanti. «Sono cappellano a Bergamo dal 1992 e sono stato assistente volontario del precedente cappellano per 5 anni. Ho conosciuto molti condannati per crimini gravi. Quando sono entrato in via Gleno, era la stagione del terrorismo: Prima linea e Brigate rosse. Molti condannati erano in cella da tempo e chiedevano ragione del proprio cambiamento, della loro permanenza e del loro futuro. Lo chiedevano allo Stato, lo chiedevano alla Chiesa. Il cardinale Martini si è fatto loro primo interprete. In quegli anni fu approvata la legge Gozzini (una legge del 1986 che affermava la prevalenza della funzione rieducativa della pena, ndr), che ha permesso di poter guardare oltre le sbarre. Con la Gozzini è entrata in carcere la speranza, fino ad allora valore impensabile. Ridava all’uomo la possibilità di guardare oltre: stabiliva che chi si fosse dissociato o pentito avrebbe potuto usufruire di misure alternative al carcere. In quel momento, ho sperimentato il possibile atto di riconciliazione con la società. Che il carcere non debba togliere la speranza non lo diciamo noi preti, ma la Costituzione». Negli ultimi decenni, il carcere è però cambiato molto. Dice ancora don Fausto: «Oggi la maggioranza non professa la fede cristiana. È per questo che il prete diventa uomo tra gli uomini non sul piano della stessa fede, ma del riconoscimento che la via della riconciliazione passa attraverso l’uomo».
E su Bossetti rivela: «Preghiamo con la preghiera del rosario e con le formule che i genitori gli hanno insegnato, che uniscono l’aspetto del suo rapporto con Dio al senso di amore per la famiglia. È Bossetti che mi chiede la preghiera e la lettura del Vangelo. La sente come sollievo, aiuto e stimolo. In questi giorni, inoltre, sta meditando un libretto che gli ho dato di monsignor Bruno Forte: Pater, Ave, Gloria, un commento spirituale delle Edizioni San Paolo».
Spiega il direttore di Credere, don Antonio Rizzolo: «Lo dico chiaramente: noi di Credere non intendiamo entrare a gamba tesa in una difficile indagine in corso. Non siamo innocentisti o colpevolisti. È fondamentale rispettare il lavoro degli inquirenti e della magistratura. Nell’intervista a don Fausto c’è qualcosa di diverso, il racconto del mistero di un’anima e la riflessione sull’anima di ciascuno di noi, che aspira al bene, al bello, al cielo e spesso si trova avvolta dal male, sporcata e ferita». Nell’articolo, anche un commento del parroco della famiglia Gambirasio, don Corinno Scotti.
L’intervista completa sul nuovo numero di Credere
in edicola e in parrocchia da giovedì 28 agosto.
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