Monsignor Antonio Giuseppe Caiazzo, arcivescovo di Matera-Irsina, 66 anni.
«Covid, guerra e crisi economica ci hanno resi stanchi e sfiduciati. Gesù, cibo che non perisce, ci dona forza e ci aiuta a vivere questo cambiamento d’epoca». In un editoriale pubblicato da Famiglia Cristiana nel numero in edicola, monsignor Antonio Giuseppe Caiazzo, vescovo di Matera, spiega il significato del XXVII Congresso eucaristico nazionale, che si svolge nella città di cui è pastore dal 22 al 25 settembre (domenica, giorno di chiusura, è previsto l’arrivo di papa Francesco; le 35 mila ostie commissionate per le celebrazioni sono state preparate dai detenuti delle carceri di Opera, Milano, e di Castelfranco Emilia, Modena).
«Oggi, come al tempo di Gesù, vediamo la nostra gente che è stanca, affamata, bisognosa, sfiduciata», scrive il vescovo di Matera sul settimanale cattolico. «La pandemia e la guerra hanno ulteriormente accentuato tutto questo facendo emergere il lato più brutto di un’umanità che sfrutta la debolezza e la fragilità del momento e che senza scrupoli né etica ha innalzato il suo dio, il dio denaro, a idolo da adorare; una guerra che si sostanzia nella guerra del pane e in quella energetica mettendo seriamente in crisi l’economia mondiale ma soprattutto le famiglie già duramente provate dalla pandemia».
«Siamo di fronte a un cambiamento d’epoca», sottolinea monsignor Caiazzo. «Tornare al gusto del pane significa rialzare gli occhi al cielo e scrutare spazi infiniti nei quali immergersi e sentire l’abbraccio del Padre dopo essersi persi. Direbbe Tolstoj: “Il segreto della felicità non è far sempre ciò che si vuole, ma di volere sempre ciò che si fa”. “C’è un cibo che perisce” e “un cibo che dura per la vita eterna”. L’uomo non ha bisogno solo del pane materiale, ma soprattutto del pane che dia corpo alla speranza: questo Pane è Gesù presente nell’Eucarestia. Gesù fa suo il segno del pane per dire che lui è la presenza del Padre. L’Eucaristia ci fa toccare nella nostra carne il senso dell’universalità dei popoli, delle razze, delle culture e, in un dialogo ecumenico, dei cristiani»