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lunedì 16 settembre 2024
 
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Matilde Gioli, dottoressa in Doc - Nelle tue mani: «La forza dei medici? Provare empatia»

29/10/2020  «Tante persone che lavorano nella sanità si sono complimentate per come abbiamo rappresentato il loro lavoro e per avere raccontato la vita vera»

Matilde Gioli. In alto, in una foto di scena di DOC - Nelle tue mani con Luca Argentero e Sara Lazzaro). Ansa.
Matilde Gioli. In alto, in una foto di scena di DOC - Nelle tue mani con Luca Argentero e Sara Lazzaro). Ansa.

Se c’è una parola che può riassumere la serie tv di Rai 1 DOC - Nelle tue mani è empatia. La capacità del medico di essere professionale e competente, ma allo stesso tempo umano, comprensivo, vicino ai pazienti, alle loro storie. Quella empatia che, negli ultimi mesi, abbiamo imparato a riconoscere nel lavoro di tanti medici e infermieri impegnati contro il Covid-19.

A sottolinearlo è Matilde Gioli, 31 anni, che nella fiction interpreta la dottoressa Giulia Giordano. A Famiglia Cristiana l’attrice milanese racconta il segreto del successo di questa serie che, dopo aver esordito a marzo, in piena quarantena, dal 15 ottobre è tornata in prima serata su Rai 1 con i nuovi episodi.

DOC - Nelle tue mani è ispirata alla storia vera del primario Pierdante Piccioni (nella serie il dottor Andrea Fanti, interpretato da Luca Argentero) che, dopo un incidente, ha perso la memoria dei suoi ultimi dodici anni di vita e ha colto nella malattia un’opportunità per ricominciare da capo, come medico e come uomo.

Matilde, a marzo le riprese della serie sono state interrotte dal Covid- 19. Come è stato tornare sul set dopo il lockdown per terminare i nuovi otto episodi?

«Siamo stati interrotti a dieci giorni dalla fine delle riprese: mancavano parecchie scene importanti di ogni episodio. Siamo tornati sul set verso fine giugno, con grande attenzione e un protocollo impegnativo: troupe ridotta, per noi test sierologici e tamponi ogni quattro giorni. Tornare è stato bello perché tutti avevamo voglia di lavorare, fare, produrre. Ma è stato molto diverso rispetto a quando ci siamo lasciati: interrompere bruscamente una storia e riprenderla dopo mesi non è semplice, perché eravamo tutti un po’ diversi, anche nell’approccio alla recitazione».

La prima stagione è andata in onda in piena quarantena. Una scommessa per una serie che parlava di medici e ospedali. Invece la fiction ha avuto un successo incredibile, con un record di ascolti. Perché?

«La storia di Pierdante Piccioni è avvincente. Intorno a questa vicenda reale sono state costruite storie che affrontano tematiche con cui è facile per gli spettatori empatizzare. Quelle degli specializzandi con la paura di iniziare un nuovo lavoro, il tema della disabilità nella storia dello specializzando che non ha una gamba, la competizione tra medici. Abbiamo raccontato anche la parte bella dell’ospedale: un microcosmo in cui succedono tantissime cose e nel quale si creano rapporti di solidarietà, di amicizia, di aiuto. Perfino tanti medici ci hanno scritto per farci i complimenti per come avevamo rappresentato la loro categoria e dicendo che avevamo raccontato la vita vera degli ospedali, non una realtà edulcorata».

Chi è Matilde Gioli fuori dal set?

«Appena finisco di lavorare, da Roma torno a casa mia, a Milano. Sono molto attaccata alle mie radici, la mia città, la mia famiglia, i miei amici. Sono appassionata di animali e di sport e quando sono a casa mi piace andare a nuotare. Da un paio di anni ho un cavallo e non appena ho del tempo libero corro al maneggio e vado a cavalcare, lungo l’Adda, in mezzo ai boschi. Mi piace cucinare, organizzare cene. Con i miei fratelli e mia sorella siamo legati da morire e loro sono miei grandi supporter. I miei genitori mi hanno sempre sostenuto nel mio percorso, ma con molta sobrietà e senza entusiasmo eccessivo. In casa mia non c’è un particolare interesse per la notorietà, il successo. Per loro la mia è una professione e basta. Sono orgogliosi dei quattro figli allo stesso modo. E sono contenti di me non perché sono in televisione, ma perché faccio quello che mi piace e posso esprimere il mio talento».

Hai sempre avuto la passione del cinema?

«No, il cinema non era affatto nel mio orizzonte. Quando sono stata scelta per caso per Il capitale umano di Virzì ero avulsa da quel mondo e mi sono ritrovata circondata da attori molto esperti. Ho così potuto imparare subito sul campo dai migliori. Da lì poi il percorso è proseguito molto bene. Mi sono laureata alla triennale in Filosofia. Il mio sogno era specializzarmi in Neuroscienze e studiare le dinamiche del cervello umano, tra l’altro l’empatia, un tema che ritorna. Ma quella passione resta e chissà, se il lavoro me lo permette un giorno completerò i miei studi».

 
 
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