Sullo schermo nella fortunatissima fiction Di padre in figlia in onda in questi giorni su Rai 1 è una figlia che cresce nell’indifferenza del padre. L’opposto di come è andata nella realtà: «Con papà ho avuto un rapporto bellissimo». Matilde Gioli parla al passato perché una malattia si è portata via il padre prima del suo fulminante debutto nel film Il capitale umano di Paolo Virzì: «Più che il mio successo, rimpiango il fatto che mamma e papà avevano un solo grande sogno che per lui non si è avverato: vedere i loro quattro figli crescere e realizzarsi».
Di padre in figlia è la saga che si snoda dal 1958 ai primi anni ’80 di una famiglia veneta di produttori di grappa, diretta da Riccardo Milani da un soggetto di Cristina Comencini. Alla presentazione è stata definita una fiction “femminista”. «Per me è una commedia storica con uno sguardo femminile, un’anomalia nel nostro cinema e nella nostra Tv, dove le donne sono viste come la moglie di…, la figlia di…, la mamma di… Qui invece c’è un protagonista maschile, Alessio Boni, circondato da una serie di figure femminili, raccontate in tutta la loro pienezza e con una dolcezza anch’essa atipica per le nostre produzioni».
Ti sarebbe piaciuto vivere negli anni Sessanta?
«In effetti mi sembra di averli vissuti grazie ai meravigliosi racconti di mia nonna. Per questo vestirsi e parlare come le ragazze di allora mi è piaciuto ancora di più».
Cosa ti colpiva di più di quei racconti del passato?
«Il controllo che i padri esercitavano sui figli, che anche la fiction mostra bene. Elena, il mio personaggio, si mette spesso nei guai e il padre la punisce severamente. Mia nonna mi ha detto: “Voi giovani adesso con i cellulari e i computer fate quello che volete. Ai miei tempi se un ragazzo voleva conoscermi scriveva una lettera che veniva aperta e controllata da mio padre prima di arrivare nelle mie mani… Magari chiedeva solo di fare una passeggiata con me e mio padre aggiungeva un asterisco con un suo commento”. Insomma, sembrano passati mille anni da allora e invece sono soltanto cinquanta».
Nel complesso, gli uomini sono cambiati in meglio o in peggio?
«Farei molta fatica a vivere con uomini così possessivi e prevaricatori. Ma oggi noi donne viviamo una situazione molto strana: il retaggio maschilista è rimasto e allo stesso tempo si è un po’ persa la netta distinzione dei ruoli che c’era allora e che secondo me un po’ ci vuole. Gli uomini vivono una crisi di identità per effetto degli spazi che noi abbiamo conquistato. Però mi piacerebbe che ci fossero più uomini che, senza essere maschilisti, abbiano polso, sappiano essere decisi quando occorre e facciano sentire la propria donna protetta».
Anche il corteggiamento è molto cambiato…
«Non dico la serenata, ma è già tanto se c’è un approccio, anche minimo... Gli uomini ormai tendono ad aspettare che sia tu a fare la prima mossa: pensano che far finta di non notare una donna sia un comportamento da vero uomo, mentre per me denota solo stupidità».
La vostra è una famiglia numerosa: hai due fratelli e una sorella. Com’è stato crescere con loro?
«Molto bello. Filippo ha un anno più di me: non litighiamo mai, siamo molto complici. Dopo di me c’è una pausa di dieci anni e poi arrivano Francesco, con cui ho un rapporto meraviglioso anche se, essendo entrambi due teste calde, ogni tanto tendiamo a scontrarci, e la mia sorellina Eugenia: la differenza di età che c’è con lei è sempre stata un bellissimo stimolo per confrontarci».
Lo scorso autunno ti abbiamo vista nei panni di valletta nella nuova edizione del Rischiatutto. Se fossi andata come concorrente su che materia ti saresti presentata?
«Forse sugli animali. Da piccola ho guardato tantissimi documentari. Mi interessano tutte le specie, dai pesci ai mammiferi. In particolare, le loro abitudini. Sì, mi sarei presentata proprio sul comportamento degli animali: è un tema che mi affascina, così come il comportamento umano».
E infatti ti sei laureata in filosofia con una tesi su “L’Etica” di Aristotele. Come ben sai, il problema cruciale che il filosofo greco si poneva in quel libro è la felicità: se si può raggiungerla in questa vita e in che modo. Tu come la vedi?
«L’idea mi mette una sensazione quasi di angoscia: cerco di non pensare troppo al fatto che devo essere felice, non voglio vivere questa cosa come un dovere. In generale tendo a essere ottimista, a essere ben disposta verso gli altri e verso gli eventi della vita. Quando mi capitano dei momenti di sconforto, non mi lamento e non mi sento in colpa: penso che vadano accettati. Avendo quest’atteggiamento, mi sorprendo a essere felice in momenti inaspettati e per motivi assolutamente semplici. Quando succede, mi esalto e credo davvero nella felicità».
Un esempio concreto?
«Da amante della filosofia, sono molto sensibile alla sensazione del sublime. Quando mi trovo in mezzo alla natura, provo dei momenti di grazia incredibile. È una cosa che non si può comprare, ma che non è difficile da raggiungere: a me basta l’armonia di un prato. In quei momenti mi sento in profonda connessione con tutto e sono in pace».
Foto Alessandro Molinari/Ufficio Stampa