I matrimoni celebrati dai lefebvriani possono essere considerati validi se il vescovo ordinario del luogo dove vengono celebrati concede ad un prete suo delegato di assistere ad essi e di validarli. Oppure se il vescovo, quando non vi siano sacerdoti regolari che possano ricevere il consenso, decide di concedere tale facoltà direttamente al sacerdote lefebvriano, che poi deve far pervenire tutta la documentazione del sacramento alla Curia diocesana. Lo ha deciso la Congregazione per la dottrina della fede con una lettera approvata dal Papa e firmata dal cardinale Gerhard Mueller e dall’arcivescovo Guido Pozzo, segretario della Commissione Ecclesia Dei, quella che si occupa del dialogo con la Fraternità di San Pio X, cioè i seguaci del vescovo scismatico Marcel Lefebvre.
Francesco, dopo aver garantito la validità delle confessioni impartite dai sacerdoti lefebvriani, ora dà ai vescovi anche la possibilità di concedere delle "licenze per la celebrazione di matrimoni dei fedeli che seguono l'attività pastorale della Fraternità”. Si tratta di un ulteriore passo con l’auspicio, dichiarato nella lettera, che presto si possa giungere alla piena riconciliazione. La decisione va nella direzione delle misericordia, su cui Bergoglio insiste dall’inizio del Pontificato, verso i fedeli anche lefebvriani, per rimuovere i “disagi di coscienza” circa la validità del loro matrimonio. Nella lettera tuttavia il card. Mueller, Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, conferma la attuale “oggettiva persistenza della situazione canonica di illegittimità in cui versa la Fraternità di San Pio X”.
La decisione sul matrimonio è pertanto solo una decisione che si può definite amministrativa. Non si conosce il numero dei matrimoni celebrati dai preti lefebvriani, ma fonti vaticane confermano che sono pochissimi. Benedetto XVI ha tolto la scomunica di Giovanni Paolo II, confermando però che “la Fraternità non ha alcuno stato canonico nella Chiesa e i suoi ministri – anche se sono stati liberati dalla punizione ecclesiastica – non esercitano in modo legittimo alcun ministero nella Chiesa”.
Nella sua lettera Ecclesiae Unitatem del 2 luglio 2009 Benedetto XVI ha sottolineato che “la remissione della scomunica è stata un provvedimento nell’ambito della disciplina ecclesiastica per liberare le persone dal peso di coscienza rappresentato dalla censura ecclesiastica più grave. Ma le questioni dottrinali, ovviamente, rimangono e, finché non saranno chiarite, la Fraternità non ha uno statuto canonico nella Chiesa e i suoi ministri non possono esercitare in modo legittimo alcun ministero”. Bergoglio aveva autorizzato i preti lefebvriani a celebrare il sacramento della riconciliazione durante il Giubileo della misericordia e alla fine dell’Anno Santo l’aveva riconfermato. Adesso tocca al matrimonio seppure con alcune regole che sono sotto la responsabilità dei vescovi ordinari e non sono affatto automatiche. Resta il problema principale e cioè la firma di una Dichiarazione dottrinale.
I Lefebvriani non accettano il Vaticano II e continuano a criticare pesantemente il pontificato di Bergoglio. L’Amoris laetitia è un documento che “ci ha fatto piangere”, ha detto il vescovo Fellay, capo dei lefebvriani. In alcune note ufficiali della Fraternità è definito un documento “terrificante”. Il Papa tuttavia non ha chiuso le porte al dialogo e ha incontrato il vescovo Fellay esattamente un anno fa.