Massiccio spiegamento di forze. Quattro Premi Oscar: George Clooney (qui regista e interprete), Matt Damon (il protagonista, autore di belle sceneggiature), Cate Blanchett (l’attrice australiana più sofisticata, candidata anche quest’anno per Blue Jasmine di Woody Allen) e il francese Jean Dujardin (capace d’incantare Hollywood col film muto The artist). Completano lo stellare cast l’ironico Bill Murray, il pacioso John Goodman e il popolare Hugh Bonneville (il Robert Crawley della serie Downton Abbey).
Eppure, punto di forza di Monuments Men è soprattutto l’accurata ricostruzione storica: una vicenda originale, intrigante, appassionante, al limite dell’incredibile, così come l’ha narrata lo storico Robert Edsel nel libro da cui è tratto il film della Fox, ora nelle sale.
«A essere sincero, prima di girare non avevo mai sentito parlare dei Monuments Men, eppure sono appassionato di storia», confessa Matt Damon, 43 anni, un Oscar per la sceneggiatura di Will Hunting - Genio ribelle e già una cinquantina di pellicole alle spalle (compresi successi come la trilogia di Ocean’s Eleven con l’amico Clooney, Salvate il soldato Ryan di Spielberg e la trilogia su Jason Bourne). «Stavo andando a prendere le mie figlie a scuola, quando ho ricevuto un messaggio di George in cui mi chiedeva se fossi impegnato per primavera. L’ho chiamato e lui mi ha raccontato questa storia incredibile. Poi mi ha inviato il copione scritto con Grant Heslov. Ho detto subito sì».
Che cosa le è piaciuto della storia?
«Sono rimasto scioccato scoprendo che tutto era rigorosamente vero. Nel giugno del ’43, il presidente Roosevelt istituì la Mfaa, cioè la Monuments Fine Arts and Archives, un corpo speciale incaricato di proteggere le opere d’arte in Europa, a rischio per la guerra. I Monuments Men erano in tutto 345, tra uomini e donne, e provenivano da tredici nazioni. Prima di arruolarsi erano stati direttori di musei, curatori di esposizioni, storici dell’arte, architetti, professori. Finirono a inseguire capolavori trafugati dai nazisti, nascosti nei luoghi più impensati: miniere abbandonate, fabbriche in disuso».
Ancora oggi giunge notizia di opere recuperate e credute perdute.
«Esatto! E sono tutti ritrovamenti che traggono origine dal lavoro di queste persone eccezionali. Su sei milioni di opere d’arte trafugate dai nazisti, riuscirono a mettere in salvo circa cinque milioni di oggetti, restituiti ai musei o ai legittimi proprietari. Senza di loro, forse, non avremmo più potuto ammirare La dama con l’ermellino di Leonardo oppure Il campo dei papaveri di Monet».
Buffo pensare a dei soldati che, al fronte, preferiscono le tele ai fucili...
«Eppure, è ciò che accadde. Non si trattava di ragazzi, anzi erano un po’ vecchiotti per fare i combattenti in prima linea. Ma non esitarono a mollare tutto e a fare l’addestramento di base per essere trasferiti al fronte pur di salvare opere d’arte. A scoprire la loro storia è stato Robert Edsel, dopo essersi trasferito a vivere a Firenze nel 1990. Sul sito www.monumentsmen.com, da lui creato, è possibile vedere le foto di tutte le opere rubate dai nazisti e poi recuperate».
Ma vale la pena di rischiare la vita per salvare dei capolavori?
«La cultura dei popoli è la loro vita. Quando i talebani hanno distrutto edifici storici e musei, senza che gli americani pensassero a proteggerli, hanno privato un popolo della sua identità».
Che regista è George Clooney?
«Anche se appare rilassato, ha sempre tutto sotto controllo. Sul set non c’era tensione, né lui ha mai alzato la voce. Eppure, si trattava di una produzione grossa e costosa. Essendo al tempo stesso sceneggiatore, produttore, regista e interprete, lui sapeva di giocarsi molto».
È più facile girare con un amico?
«Beh, è come prendere una scorciatoia. Questo è il nostro sesto film insieme e nessuno di noi ha dovuto preoccuparsi di non urtare la sensibilità dell’altro. Esiste ormai una fiducia implicita».
Aveva già lavorato con molti attori del cast, ma non con Bill Murray...
«All’inizio, ero intimidito. È un tipo tutto d’un pezzo che non sopporta gli stupidi. Ha un senso dell’umorismo così caustico e tagliente che, se vuole, ti può fare a fette con le parole. Con lui mi sono trovato bene: abbiamo fatto lunghe chiacchierate che mi sono rimaste impresse. Sa essere divertente e profondo».
Con Cate Blanchett aveva fatto Il talento di Mr. Ripley di Minghella...
«Dopo quindici anni l’ho trovata più bella e brava che mai. Camaleontica».
Lei è una star eppure s’impegna nel sociale, coltiva amicizie. Come fa?
«Sono così. Mi dà forza la famiglia: mia moglie Lucy e le nostre figlie. Ci siamo trasferiti a Los Angeles per questo».
Stanco della caotica New York?
«Quei farabutti di Wall Street gonfiano i prezzi delle case. A Los Angeles abbiamo ritrovato gli amici più cari: Ben Affleck, Brad Pitt e Angelina Jolie. I nostri figli, coetanei, stanno bene assieme».