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giovedì 03 ottobre 2024
 
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Mattarella: «La democrazia non è solo maggioranza»

03/07/2024  Il presidente della Repubblica spiega le basi della democrazia difese dalla Costituzione e i rischi che corrono le libertà individuali e la dignità delle persone quando essa si indebolisce. Attenzione ai marchingegni che svuotano il ruolo del parlamento. «Il dovere di governare non può ridurre la democrazia»

Una lezione alta di diritto costituzionale. Per capire le ragioni dello stare insieme, le basi della democrazia e i rischi cui si va incontro con un loro indebolimento. Sergio Mattarella interviene nella giornata di apertura della 50esima Settimana sociale dei cattolici italiani. Interrotto più volte dagli applausi, il presidente della Repubblica ricorda che «le dittature del Novecento l’hanno identificata come un nemico da battere» mentre «gli uomini liberi ne hanno fatto una bandiera. Insieme una conquista e una speranza che, a volte, si cerca, in modo spregiudicato, di mortificare ponendone il nome a sostegno di tesi di parte». Cita Dossetti, don Milani, De Gasperi, Tocqueville, Paolo VI, Giorgio Napolitano…. Oltre mezz’ora di intervento con una platea attentissima per spiegare che la democrazia «è un tessuto che gli avversari della democrazia pretenderebbero logoro» e che «si è persino giunti ad affermare che siano opponibili tra loro valori come libertà e democrazia, con quest'ultima artatamente utilizzabile come limitazione della prima». Proprio per questo «non è fuor di luogo, allora, chiedersi se vi sia, e quale, un’anima della democrazia. O questa si traduce soltanto in un metodo? Cosa la ispira? Cosa ne fa l’ossatura che sorregge il corpo delle nostre istituzioni e la vita civile della nostra comunità?», si chiede Mattarella. Il presidente sottolinea ricorda che Alexis de Tocqueville «affermava che una democrazia senz'anima è destinata a implodere, non per gli aspetti formali naturalmente, bensì per i contenuti valoriali venuti meno».

Intervenendo a Torino, alla prima edizione della Biennale della democrazia, nel 2009,dice ancora il Presidente, «Giorgio Napolitano, rivolgeva lo sguardo alla costruzione della nostra democrazia repubblicana, con la acquisizione dei principi che hanno inserito il nostro Paese, da allora, nel solco del pensiero liberal-democratico occidentale.  Dopo la “costrizione” ossessiva del regime fascista soffiava “l’alito della libertà”, con la Costituzione a intelaiatura e garanzia dei diritti dei cittadini.  L'alito della libertà anzitutto come rifiuto di ogni obbligo di conformismo sociale e politico, come diritto all’opposizione».

Mattarella ricorda che la democrazia non è solo maggioranza e rivendica il ruolo insopprimibile del Parlamento perché «la democrazia, in altri termini, non si esaurisce nelle sue norme di funzionamento, ferma restando l’imprescindibilità della definizione e del rispetto delle “regole del gioco”. Perché - come ricordava Norberto Bobbio - le condizioni minime della democrazia sono esigenti: generalità e uguaglianza del diritto di voto, la sua libertà, proposte alternative, ruolo insopprimibile delle assemblee elettive e, infine e non da ultimo, limiti alle decisioni della maggioranza, nel senso che non possano violare i diritti delle minoranze e impedire che possano diventare, a loro volta, maggioranze».

Invita a partecipare, che non vuol dire «parteggiare, ad andare a votare, a osservarne le regole, perché «è la pratica della democrazia che la rende viva, concreta, trasparente, capace di coinvolgere». Non c’è democrazia, insiste, ««senza la tutela dei diritti fondamentali di libertà, che rappresentano quel che dà senso allo Stato di diritto e alla democrazia stessa. L’impegnativo tema che avete posto al centro della riflessione di questa Settimana sociale interpella, con forza, tutti. La democrazia, infatti, si invera ogni giorno nella vita delle persone e nel mutuo rispetto delle relazioni sociali, in condizioni storiche mutevoli, senza che questo possa indurre ad atteggiamenti remissivi circa la sua qualità». Non ci si può accontentare di una democrazia imperfetta, non  ci si può arrendere all’astensionismo, «al crescere di un assenteismo dei cittadini dai temi della “cosa pubblica”».

Non solo, Mattarella è molto chiaro nel sottolineare che si può correre rischio che «il principio “un uomo-un voto” venga distorto attraverso marchingegni che alterino la rappresentatività e la volontà degli elettori.il Ancor più le libertà risulterebbero vulnerate ipotizzando democrazie affievolite, depotenziate da tratti illiberali. Ci soccorre anche qui Bobbio quando ammonisce che non si può ricorrere a semplificazioni di sistema o a restrizioni di diritti “in nome del dovere di governare”».

E dunque occorre riconoscere che «la democrazia “della maggioranza” sarebbe, per definizione, una insanabile contraddizione, per la confusione tra strumenti di governo e tutela della effettiva condizione di diritti e di libertà».

Non bisogna cedere a quella che il Presidente chiama la «ossessione della contrapposizione», della «rivalsa, della delegittimazione» e ricordare che «la democrazia non è mai conquistata per sempre. Anzi, il succedersi delle diverse condizioni storiche e delle loro mutevoli caratteristiche, ne richiede un attento, costante inveramento. Nella complessità delle società contemporanee, a criticità conosciute, che mettono a rischio la vita degli Stati e delle comunità, si aggiungono nuovi rischi epocali: quelli ambientali e climatici, sanitari, finanziari, oltre alle sfide indotte dalla digitalizzazione e dall’intelligenza artificiale. Le nostre appaiono sempre più società del rischio, a fronteggiare il quale si disegnano, talora, soluzioni tecnocratiche. È tutt’altro che improprio, allora, interrogarsi sul futuro della democrazia e sui compiti che le sono affidati, proprio perché essa non è semplicemente un metodo, bensì costituisce lo “spazio pubblico” in cui si esprimono le voci protagoniste dei cittadini».

Nel corso del tempo più volte, malaguratamente ci si è posti la domanda «“a cosa serve la democrazia ?”. La risposta è semplice: a riconoscere – perché preesistono, come indica l’art. 2 della nostra Costituzione - e a rendere effettive le libertà delle persone e delle comunità». E sottolinea che «nei settantotto anni dalla scelta referendaria del 1946, libertà di impronta liberale e libertà democratica hanno contribuito, al “cantiere aperto” della nostra democrazia repubblicana, con la diversità delle alternative, le realtà di vita e le differenti mobilitazioni che ne sono derivate. La libertà di tradizione liberale ci richiama a un’area intangibile di diritti fondamentali delle persone, e sulla indisponibilità di questi rispetto al contingente succedersi di maggioranze e, ancor più, a effimeri esercizi di aggregazione degli interessi.  La libertà espressa nelle vicende novecentesche, con l’irruzione della questione sociale, ha messo poi a fuoco la dinamica delle aspettative e dei bisogni delle identità collettive nella società in permanente trasformazione. È questione nota al movimento cattolico, se è vero che quel giovane e brillante membro dell’Assemblea Costituente, che fu Giuseppe Dossetti, pose il problema del “vero accesso del popolo e di tutto il popolo al potere e a tutto il potere, non solo quello politico, ma anche a quello economico e sociale”, con la definizione di “democrazia sostanziale”.  A segnare così il passaggio ai contenuti che sarebbero stati poi consacrati negli articoli della prima parte della nostra Carta costituzionale. Fra essi i diritti economico-sociali. Una riflessione impegnativa con l’ambizione di mirare al “bene comune” che non è il “bene pubblico” dell’interesse della maggioranza, ma il bene di tutti e di ciascuno al tempo stesso, secondo quanto già la Settimana Sociale del 1945 volle indicare».

Ringrazia per il contributo dei cattolici alla vita sociale del Paese, alla costruzione della democrazia, alla crescita del Paese. E ricorda anche il costituente Egidio Tosato, che pone il tema «dell’equilibrio tra i valori di libertà e di democrazia, con la individuazione di garanzie costituzionali a salvaguardia dei cittadini» perché «la democrazia come forma di governo non basta a garantire in misura completa la tutela dei diritti e delle libertà: essa può essere distorta e violentata nella pretesa di beni superiori o utilità comuni. Il Novecento ce lo ricorda e ammonisce. Anche da questo si è fatta strada l’idea di una suprema Corte Costituzionale». «Tosato», spiega Mattarella, ed è una lezione che può aiutarci a legger ele scelte di oggi, «contestò l’assunto di Rousseau, in base al quale la volontà generale non poteva trovare limiti di alcun genere nelle leggi, perché la volontà popolare poteva cambiare qualunque norma o regola.  Lo fece con parole molto nette: “Noi sappiamo tutti ormai che la presunta volontà generale non è in realtà che la volontà di una maggioranza e che la volontà di una maggioranza, che si considera come rappresentativa della volontà di tutto il popolo può essere, come spesso si è dimostrata, più ingiusta e più oppressiva che non la volontà di un principe”».

In altre parole va detto «un fermo no, quindi, all’assolutismo di Stato, a un’autorità senza limite, potenzialmente prevaricatrice».

E Guido Gonella, «personalità di primo piano del movimento cattolico italiano e poi statista insigne nella stagione repubblicana, relatore anch’egli alla Settimana di Firenze nel 1945, non ebbe esitazioni nel rinvenire nelle Costituzioni, una “forma di vita più alta e universale”, con la presenza di elementi costanti “categorie etiche”, e di elementi variabili, secondo le “esigenze storiche”, ponendo in guardia sui rischi posti da una eccessiva rigidezza conservatrice o da una troppo facile flessibilità demagogica che avrebbe potuto caratterizzarle, con il risultato di poter passare con indifferenza dall’assolutismo alla demagogia, per ricadere all’indietro verso la dittatura. Su questo si basa la distinzione tra prima e seconda parte della nostra Costituzione».

Il messaggio è chiaro anche pe ri giorni nostri: è «sbagliato e rischioso cedere a sensibilità contingenti, sulla spinta delle tentazioni quotidiane della contesa politica. Come rischia di avvenire con la frequente tentazione di inserire richiami a temi particolari nella prima parte della Costituzione, ignorando che questa, per effetto della saggezza dei suoi estensori, li ricomprende comunque in base ai suoi principi e valori di fondo».

Parla di pace, con il richiamo agli articoli della nostra Costituzione che la bandiscono come mezzo di risoluzione delle controversie.  

Parla di Europa e del percorso democratico che si è avviato nel Continente «dopo la sconfitta del nazismo e del fascismo» e che «ha permesso di rafforzare le istituzioni dei Paesi membri e ampliare la protezione dei diritti dei cittadini, dando vita a quella architrave di pace che è stata prima la Comunità europea e ora è l’Unione». E ricorda che «la democrazia è antidoto alla Guerra». Eppure ci sono «nuovi steccati  che minano la convivenza e le basi della democrazia». Riprende  l’enciclica “Populorum progressio” di Paolo VI: «essere affrancati dalla miseria, garantire in maniera più sicura la propria sussistenza, salute, una partecipazione più piena alle responsabilità, al di fuori di ogni oppressione, al riparo da situazioni che offendono la loro dignità di uomini, godere di una maggiore istruzione, in una parola fare conoscere e avere di più per essere di più: ecco l’aspirazione degli uomini di oggi, mentre un gran numero di essi è condannato a vivere in condizioni che rendono illusorio tale legittimo desiderio». C’è qualcuno, si chiede il Presidente che «potrebbe rifiutarsi di sottoscrivere queste indicazioni? Temo di sì, in realtà, ma nessuno avrebbe il coraggio di farlo apertamente. Anche per questo l’esercizio della democrazia, come si è visto, non si riduce a un semplice aspetto procedurale e non si consuma neppure soltanto con la irrinunziabile espressione del proprio suffragio nelle urne nelle occasioni elettorali. Presuppone lo sforzo di elaborare una visione del bene comune in cui sapientemente si intreccino – perché tra loro inscindibili - libertà individuali e aperture sociali, bene della libertà e bene dell’umanità condivisa».

Occorre tornare, a «essere alfabeti nella società», a prendere la parola, a partecipare. «La Repubblica», conclude Mattarella, «ha saputo percorrere molta strada, ma il compito di far sì che tutti prendano parte alla vita della sua società e delle sue istituzioni non si esaurisce mai. Ogni generazione, ogni epoca, è attesa alla prova della “alfabetizzazione”, dell’inveramento della vita della democrazia. Prova, oggi, più complessa che mai, nella società tecnologica contemporanea. Ebbene, battersi affinché non vi possano essere “«analfabeti di democrazia” è una causa primaria, nobile, che ci riguarda tutti. Non soltanto chi riveste responsabilità o eserciti potere. Per definizione, democrazia è esercizio dal basso, legato alla vita di comunità, perché democrazia è camminare insieme».

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