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martedì 22 aprile 2025
 
L'omaggio a don Lisander
 

Mattarella: "Manzoni padre della Patria, popolare mai populista, maestro civile"

22/05/2023  Il presidente Sergio Mattarella a casa del Manzoni rende omaggio all'autore scomparso il 22 maggio di 150 anni fa, che ci ha rappresentati come nessuno con straordinaria lungimiranza

A don Lisander sarebbe piaciuto sapere che un giorno si sarebbe suonato nel cortile di casa sua, in Via Morone 1 a Milano, l’inno di Mameli, simbolo dell’Italia unita che, nell’ode marzo 1821, scritta e poi mandata a memoria per salvarla dalla repressione come ricorda Giuseppe Polimeni, aveva auspicato: «Una d’arme, di lingua, d’altare, di memoria, di sangue di cor».

Sarebbe stato fiero di essere chiamato da Angelo Stella, presidente di Casa del Manzoni, ad accogliere a Milano il presidente della Repubblica, come padrone di casa che veglia dai numerosi ritratti esposti e che in quelle stanze in vita aveva accolto chi stava facendo l’Italia da Giuseppe Garibaldi a Camillo Benso conte di Cavour. In uno spazio che rende memoria dell'Alessandro Manzoni privato che, nella sua ritrosia, scriveva che gli sarebbe parso poco onorevole accettare una nomina a senatore del Regno dovendo andare a dire: «Io lo... lo... lo giuro», alludendo alla balbuzie che gli rendeva difficile iniziare un discorso.

«A lei», ha detto Stella, accogliendo il presidente Sergio Mattarella, «spetta come a papa Francesco il titolo di “manzoniano” e, da presidente del Centro degli studi manzoniani nonché curatore dell’edizione critica della “Ventisettana”, ha speso parole per indicare Manzoni come portatore di una «lezione di democrazia» nella sua attenzione «alle diseguaglianze sociali», ancora chiave di lettura efficace del presente. Stella ha ricordato, con orgoglio tradendo anche un filo di emozione, la deposizione, fortemente voluta da Casa Manzoni, di una stele d’inciampo a perenne atto di giustizia riparatrice, nel Palazzo di giustizia di Milano con la collaborazione della Corte d’Appello di Milano e dell’ordine degli Avvocati, in memoria di Giangiacomo Mora e della vergogna non sanata del processo agli untori e della Colonna infame.

Dopo una partecipata lettura dell’episodio dell’incontro tra don Rodrigo e padre Cristoforo, al capitolo VI dei Promessi sposi, condotta da  di Eleonora Giovanardi, è toccato a Mattarella rendere omaggio al maestro. Si parlava nella “sala rossa”: oltre la soglia, protetta da un cordone di riguardo, la stanza da letto, intatta, in cui ha Alessandro Manzoni ha speso, 150 anni fa, l’ultimo scampolo della sua vita.

«Con questa cerimonia – che, così raccolta e partecipata sarebbe piaciuta ad Alessandro Manzoni – vogliamo rendere testimonianza di quanto l’Italia gli sia debitrice, in termini di pensiero, di produzione letteraria, di esempio morale, di evoluzione della lingua». Ha esordito il presidente, per poi osservare: «La lettura dei Promessi Sposi ci riserva, ogni volta, nuovi e sorprendenti aspetti, per finezza, per arguzia, per profondità, per vividezza delle descrizioni, per il tratteggio psicologico dei personaggi (...)».

Nell’episodio dell’incontro di don Rodrigo e padre Cristoforo «sono eccezionali il gioco di sguardi, quasi cinematografico, il movimento scenico, il dialogo drammatico, che si intreccia tra i rappresentanti di due concezioni del mondo così diverse: l’umiltà, la sete di giustizia, l’umanità da un lato; l’arroganza, la protervia e la prepotenza dall’altro. Nello sterminato territorio che separa l’universo valoriale di fra Cristoforo da quello, turpe, di don Rodrigo si muove - sembra dirci Manzoni - la storia, cammino dolente ma inarrestabile dell’umanità verso il futuro. Genti e popoli in marcia, con le loro speranze, i loro progressi, le loro miserie e le loro cadute. Un percorso che, in ultima analisi, Manzoni affida nelle mani della Divina Provvidenza. Ma che è quanto di più lontano da un rassegnato fatalismo, perché gli uomini, con la loro forza e le loro debolezze, sono e restano i costruttori del proprio presente e del proprio futuro».

Il presidente ha ricordato di Manzoni «lo sguardo lungimirante: capace di andare oltre: collegandosi – e spesso ispirandole - alle forze più vive e dinamiche della cultura italiana ed europea, pervase dall’aspirazione alla libertà, all’indipendenza, all’autodeterminazione. Un’aspirazione che non può essere disgiunta dall’opposizione e dalla ripugnanza nei confronti della tirannide, l’abuso di potere, la violenza, l’ingiustizia, specie contro i poveri, gli umili, gli indifesi».

Non ha esitato a definirlo: «A tutti gli effetti un padre della nostra Patria» «Al poeta Lamartine, che aveva parlato sprezzante di “diversità” di “popoli” italiani – ha ricordato il presidente Mattarella – Manzoni rispose con una lettera sdegnata: “No, non c’è più differenza tra l’uomo delle Alpi e quello di Palermo che tra l’uomo sulle rive del Reno e quello dei Pirenei».

«Cattolico integrale, ma mai integralista, Manzoni ha affrontato la questione dell’ingresso e della presenza delle masse cattoliche all’interno del processo risorgimentale e di formazione nazionale, respingendo ogni tentazione di mantenimento di forme di potere temporale della Chiesa, da lui considerato storicamente superato, origine di corruzione e fonte di gravi mali».

Mattarella, pur avendo evocato dispute tra critici d’opposta estrazione, ha scelto di concentrarsi su quello che ha definito “Manzoni civile”. «A proposito del Romanticismo e del Risorgimento italiano», ha spiegato, «si cita spesso la triade Dio, Patria e Famiglia, quasi in contrapposizione alla triade della Rivoluzione Francese, Libertà, Eguaglianza, Fraternità. È una cesura eccessivamente schematica. Il romantico e cattolico Manzoni, in verità, non rinnega i valori della Rivoluzione Francese, anzi, li approva e li condivide, insistendo soprattutto sul quello più trascurato, la fraternità. La Rivoluzione Francese, secondo Manzoni, aveva tradito questi valori, perché, con il giacobinismo, si era trasformata nell’ideologia del Terrore e della violenza. Nulla, per l’autore dei Promessi Sposi, è più nefasto delle teorie politiche astratte che immolano sull’altare della ragion di Stato i diritti di uomini o di intere popolazioni. Nulla, per lui, è più sacro della vita umana. La verità deve prevalere sulla menzogna, la tolleranza sull’odio, la pietà sulla violenza, la morale sul calcolo di convenienza. A differenza di molti suoi contemporanei, che vagheggiavano improbabili ritorni a ere classiche e pre-cristiane, scrive che non bisogna provare alcuna nostalgia per “la barbarie degli antichi”, un’epoca caratterizzata da guerre di conquista, stermini, distruzioni, sopraffazioni, riduzione in schiavitù».

«Nell’idea manzoniana di libertà, giustizia, eguaglianza e solidarietà», ha proseguito il presidente, «si può scorgere una anticipazione della visione di fondo della Dichiarazione universale dei diritti dell’Uomo del 1948. Una carta fondamentale, nata dopo gli orrori della Seconda guerra mondiale, che individua la persona umana in sé, senza alcuna differenza, come soggetto portatore di diritti, sbarrando così la strada a nefaste concezioni di supremazia basate sulla razza, sull’appartenenza, e, in definitiva, sulla sopraffazione, sulla persecuzione, sulla prevalenza del più forte. Concetti e assunti che – come ben sappiamo - sono espressamente posti alla base della nostra Costituzione repubblicana. Dai diritti dell’uomo la concezione manzoniana si allarga a quella del diritto internazionale e dei rapporti tra gli Stati, dove si ritrova una critica lucida e serrata al nazionalismo esasperato. Perché la moralità, la fraternità e la giustizia devono prevalere sugli odi, sugli egoismi, sulle inutili e controproducenti rivalità».

E ha appoggiato le sue riflessioni alla citazione di un frammento delle Osservazioni sulla Morale Cattolica, pubblicato postumo: «”Bisogna sentire e ripetere che la somiglianza che ci dà l’essere d’uomo è ben più forte che la diversità di nazione”. Manzoni si spinge anche oltre, prefigurando la illiceità di accordi internazionali ratificati sulla testa di popoli e Stati».

La conclusione, efficacissima se si pensa alle pagine della peste e del tumulto, nell’assieparsi del popolo davanti alla casa del vicario di provvisione, ha condotto Mattarella a una riflessione attualissima: «Vorrei segnalare un ultimo aspetto che mi sembra di grande interesse. Sono state scritte pagine illuminanti sulla vicinanza, l’empatia, la condivisione dell’autore dei Promessi Sposi nei confronti delle masse popolari, che per la prima volta diventano protagoniste di un romanzo. Utilizzando una terminologia odierna, possiamo parlare di un Manzoni certamente “popolare”, ma non “populista”. Il legame controverso che Manzoni stabilisce tra potere e opinione pubblica, tra giustizia e sentimenti diffusi, ci induce a riflettere - sia pure in tempi incommensurabilmente distanti - sui pericoli che corrono oggi le società democratiche di fronte alla diffusione del distorto e aggressivo uso dei social media, dell’accentramento dei mezzi di comunicazione nelle mani di pochi, della disinformazione organizzata e dei tentativi di sistematica manipolazione della realtà. E, anche, sulla tendenza, registrabile in tutto il mondo, delle classi dirigenti a assecondare la propria base elettorale o di consenso e i suoi mutevoli umori, registrati di giorno in giorno attraverso i sondaggi, piuttosto che dedicarsi a costruire politiche di ampio respiro, capaci di resistere agli anni e di definire il futuro. Già nei Promessi Sposi, nei capitoli dedicati alla peste, Manzoni scriveva icasticamente a proposito di questi rischi: “Il buon senso c’era; ma se ne stava nascosto, per paura del senso comune”».

Le ultime parole sono per la Storia della Colonna infame che Mattarella ha definito: «un capolavoro di letteratura civile, compreso e rivalutato solo a partire dal secolo scorso» (...) Ci ammonisce di quanto siano perniciosi gli umori delle folle anonime, i pregiudizi, gli stereotipi; e di quali rischi si corrano quando i detentori del potere - politico, legislativo o giudiziario - si adoperino per compiacerli a ogni costo, cercando solo un effimero consenso. Un combinato micidiale, che invece di generare giustizia, ordine e prosperità - che è il compito precipuo di chi è chiamato a dirigere - produce tragedie, lutti e rovine». Impossibile dargli torto quando sulla conclusione: «Come tutti gli spiriti eletti e gli artisti universali, Manzoni parla tuttora all’uomo di oggi, alle sue inquietudini e alle sue ricerche di senso, con voce autorevole, ferma e appassionata».

In mattinata il Presidente si era recato al Famedio, dove riposano i milanesi illustri, a deporre una corona sulla tomba di Alessandro Manzoni definito «Grande scrittore, grande italiano, grande milanese».

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