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venerdì 25 aprile 2025
 
L'analisi
 

Mattarella, una dura lezione di Costituzione a toghe e politica

19/06/2020  In occasione della commemorazione al Quirinale dei sei magistrati uccisi nel 1980, il presidente della Repubblica interviene con fermezza sui problemi del presente: un discorso tosto ecco perché

Ha scelto l’occasione solenne, il presidente della Repubblica Sergio Mattarella, il giorno designato per la commemorazione di Nicola Giacumbi, Girolamo Minervini, Guido Galli, Mario Amato, Gaetano Costa, di Rosario Livatino, i sei magistrati caduti a causa del loro lavoro sotto il fuoco di Cosa nostra e del terrorismo nell’annus horribilis 1980. «Hanno svoltola loro attività, con coraggiosa coerenza e autentico rigore, senza rincorrere consenso ma applicando la legge. Fedeli soltanto alla Costituzione», dice dopo averli ricordati alla presenza dei loro familiari. «È questa l’unica fedeltà richiesta ai servitori dello Stato a tutela della democrazia su cui si fonda la nostra Repubblica».

Su questo punto che in altri momenti sarebbe forse parso scontato, la commemorazione termina e il discorso cambia tono, si sposta al presente, «all’anno difficile che la magistratura sta vivendo» per quanto emerso dalle carte dell'inchiesta di Perugia sul caso Palamara sui maneggi del Csm. Il confronto, «In amaro contrasto con l’alto livello morale delle figure che oggi ricordiamo», non è edificante e le parole del presidente, misurate senza edulcorazioni, pesano. «Vorrei sottolineare - con lo sguardo virtualmente rivolto ai giovani magistrati che ci seguono in streaming - che si tratta dell’unica fedeltà cui attenersi e alla quale sentirsi vincolati». È chiaro che i magistrati freschi di concorso con i quali si inaugura il nuovo quadriennio della Scuola Superiore non sono gli unici destinatari del fermo ripasso dei valori costituzionali. Il presidente rimette al loro posto con decisione i paletti che la Carta assegna agli attori della Repubblica, magistrati anche di lungo corso che, come la cronaca ha evidenziato impietosamente, hanno perso la bussola, ma anche ai titolari degli altri poteri ripetutamente chiamati in causa tra le righe.

«La Magistratura», esordisce, «deve, necessariamente, assicurare affinché i fondamentali valori dell’autonomia e dell’indipendenza trovino oggi, come nel passato, piena attuazione. (…) Appare, pertanto, necessario che (la scuola) dedichi sessioni di studio apposite ai doveri di correttezza e trasparenza nell’esercizio delle funzioni giudiziarie; affinché siano tradotti nei comportamenti a cui è tenuto ciascun magistrato, non soltanto nello svolgimento dell’attività giudiziaria ma anche nel servizio reso negli organi di governo autonomo».

Il riferimento è al Consiglio superiore da un anno nella bufera per il caso Palamara. il Presidente ricorda, ai giovani magistrati, ma non solo a loro «il confine che separa l’interpretazione della legge dall’arbitrio e dalla ricerca della pura originalità nella creazione della regola, che determinano spesso un disorientamento pericoloso dovuto all’imprevedibilità della risposta giudiziaria». E qui accenna anche «alle scelte del Legislatore», come per dire che la scarsa chiarezza delle norme, l’imprecisione delle fattispecie – fatto per altro noto e annoso in Italia, - è il primo elemento a mettere le premesse a interpretazioni troppo creative. Ribadisce che è l’elevata professionalità a consolidare «la legittimazione della Magistratura e dell’attività da essa posta in essere, in ogni ufficio giudiziario» e a questo proposito le ricorda che «deve necessariamente impegnarsi a recuperare la credibilità e la fiducia dei cittadini, così gravemente messe in dubbio da recenti fatti di cronaca. «La documentazione raccolta dalla Procura della Repubblica di Perugia sembra presentare l’immagine di una Magistratura china su sé stessa, preoccupata di costruire consensi a uso interno, finalizzati all’attribuzione di incarichi. (…) e fa intravedere un’ampia diffusione della grave distorsione sviluppatasi intorno ai criteri e alle decisioni di vari adempimenti nel governo autonomo della Magistratura». Nel dirsi certo che «queste logiche non appartengono alla Magistratura nel suo insieme», nel sottolineare che a portare allo scoperto le vicende, che provocano così grave sconcerto nella pubblica opinione, è stata un’azione della Magistratura, che ha svolto la propria funzione senza esitazioni o remore di alcun tipo». Mattarella si rivolge senza citarla alla politica chiamata alle riforme e senza giri di parole e la ammonisce: «Non si può ignorare il rischio che alcuni attacchi alla Magistratura nella sua interezza siano, in realtà, strumentalmente svolti a porne in discussione l’irrinunciabile indipendenza. Indipendenza che ho, per dovere costituzionale a me affidato, il compito di tutelare con determinazione».

Nel prendere atto che i comportamenti opachi contribuiscono a minarla, Mattarella riprende e sposta il focus sul Csm: «L’indipendenza e la totale autonomia dell’Ordine Giudiziario sono affermati nelle norme della Costituzione ma trovano il loro presidio nella coscienza dei nostri concittadini». Un cittadino che non se ne fida, sembra dire Mattarella, non presidia più l’indipendenza della magistratura che pure è decisiva nel garantirlo riguardo alla legge uguale per tutti, per questo invita la magistratura ad adoperarsi a recuperare credibilità: «La limpidezza del modo di agire anche nella vita associativa, e la credibilità in tutte le decisioni che riguardano il Consiglio Superiore costituiscono per i cittadini un metro di valutazione della trasparenza e della credibilità anche delle decisioni assunte dalla Magistratura nel rendere giustizia».

È il punto in cui il Presidente ribadisce l’urgenza di superare ogni degenerazione del sistema delle correnti: «La dialettica fra posizioni diverse, il cui valore è indiscutibile, come espressione di pluralismo culturale, rappresenta una ricchezza per le nostre istituzioni». Diventa «deleteria allorquando le differenze si traducono in contrapposizioni sganciate dai valori costituzionali» (…) Il compito primario assegnato dalla Costituzione al C.S.M. impone, in modo categorico, che si prescinda dai legami personali, politici o delle rispettive aggregazioni, in vista del dovere di governare l’organizzazione della Magistratura nell’interesse generale». L’avviso è a chi dovrà intervenire a riformare (Governo e Parlamento), ancora una volta non nominati ma evidenti destinatari dell’indirizzo che segue: «Sono state preannunciate modifiche normative che dovranno necessariamente articolarsi lungo il tracciato delineato della Costituzione. Indipendenza e autonomia dell’Ordine Giudiziario sono principi fondamentali, – ripeto - irrinunziabili per la Repubblica. E di ciò andrà tenuto conto» quando si disegnerà la riforma «volta a rimuovere prassi inaccettabili, frutto di una trama di schieramenti, (…) intreccio di contrapposte manovre, di scambi, talvolta con palese indifferenza al merito delle questioni e alle capacità individuali».

Torna ai magistrati – di cui ha appena citato le opacità consiliari - ricorda loro il dovere dell’attiva partecipazione al governo autonomo della Magistratura». Qui la lezione sulla Costituzione si fa anche più dura e puntuale: «A questo riguardo si odono talvolta esortazioni, rivolte al Presidente della Repubblica, perché assuma questa o quell’altra iniziativa, senza riflettere sui limiti dei poteri assegnati dalla Costituzione ai diversi organi costituzionali; e senza tener conto di essi. In questo modo si incoraggia una lettura della figura e delle funzioni del Presidente della Repubblica difforme da quanto previsto e indicato, con chiarezza, dalla Costituzione (…)». Il riferimento è all’opposizione che in questi mesi ha più volte provato a tirare per la giacca il Presidente della Repubblica, a intervenire d’imperio in quanto presidente anche del Csm: «Non esistono motivazioni contingenti che possano giustificare l’alterazione della attribuzione dei compiti operata dalla Costituzione: qualunque arbitrio compiuto in nome di presunte buone ragioni aprirebbe la strada ad altri arbitri, per cattive ragioni».

Ribadisce quelle che chiama regole fondamentali della democrazia: «la dialettica proficua tra i poteri si esprime in confronto collaborativo», «gli ambiti rispettivi di spettanza non sono recinti da contrapporre, (…) di cui cercare di erodere i confini, sottraendo spazi di competenza a chi ne ha titolo in base alla Costituzione. (…) Non vi è spirito di corpo o desiderio di affermare il ruolo e l’influenza del potere che si impersona, o di cui si fa parte, che possa giustificare queste distorsioni».

Messo giù, molto a fondo l’ultimo paletto, non resta che l’ultima esortazione questa volta generalizzata alla responsabilità di chi ha ruoli istuzionale: «A tutti e a ciascuno è richiesto il coraggio di abbandonare atteggiamenti fondati su prospettive limitate, di corto respiro, che, distorcendo la vita delle istituzioni, rischiano di delegittimarle. È un dovere istituzionale che grava su ciascuno. E che non può essere eluso». Non lo cita, ma tra righe lo si legge chiaramente l’articolo 54 della Costituzione, che ricorda a tutti il dovere di adempiere alle funzioni pubbliche «con disciplina e onore»

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