Da uno capace di mandare a mente un mazzo da 52 carte in meno di due minuti, di ripetere un numero di 1.124 cifre in meno di un’ora e di ritrovare un uovo in un cesto tra 300 basandosi sulla sua rugosità e sui puntini presenti nel guscio, ci si aspetta che abbia sempre avuto una memoria di ferro. Invece Matteo Salvo, primo italiano a vincere nel 2013 i Campionati mondiali di memoria, confessa che, fino all’università, ricordare quanto leggeva sui libri gli costava una fatica immane. «Fu proprio perché non riuscivo ad andare avanti con gli esami a Ingegneria che decisi di studiare le tecniche di memoria. In breve ho capito che il nostro cervello è come un qualsiasi muscolo: più lo si allena e più funziona meglio. La differenza è che allenare la memoria non costa fatica, anzi è molto divertente».
Un tempo tutti conoscevamo a memoria il numero di telefono delle persone care e sapevamo orizzontarci nella nostra città. Ora usiamo i cellulari e i navigatori. Le tecnologie sono nemiche della memoria?
«Dipende se le informazioni sono rilevanti per la nostra vita quotidiana. La nostra memoria è selettiva e tende a eliminare ciò che non ritiene importante, obbedendo al principio fisico del minor sforzo. Se grazie al navigatore impiego meno tempo a spostarmi e quindi ne ho di più per lavorare, imparare una lingua straniera o altre cose che mi interessano, ben venga il navigatore».
Le maestre di una volta facevano imparare a memoria le poesie, i nomi delle regioni italiane, delle capitali straniere, dei fiumi principali. Oggi non si fa più e nei quiz televisivi troviamo gente convinta che Praga si trovi in Spagna…
«Le maestre facevano bene, ma con un po’ più di metodo avrebbero ottenuto risultati ancora migliori. Per esempio, per insegnarci i nomi delle Alpi, (Marittime, Cozie, Graie, eccetera), ci facevano imparare la frasetta “Ma con gran pena le recan giù” che conteneva le iniziali dei nomi. Grazie a questa tecnica ce le ricordiamo a distanza di decenni. Se si fossero usate tecniche simili anche per le poesie o per gli eventi storici, evitando di ripeterle meccanicamente, ora avremmo conservato molte più conoscenze. Il trucco principale è trasformare le informazioni in immagini e storie paradossali: così si attiva la memoria emotiva che sa trattenere le informazioni a lungo termine, a differenza di quella razionale che si basa sulla ripetizione».
Facciamo un esempio su un mio appuntamento di lavoro: venerdì alle 15 devo andare alla basilica di Superga per intervistare il giudice Giancarlo Caselli che ha visto giocare il Grande Torino. Come faccio a ricordarmi tutto senza fatica?
«Costruisco appunto una storia con le informazioni essenziali. Venere mi aspetta a Superga alle 15. Per arrivarci devo passare una serie di caselli stradali. Ma a un certo punto trovo la strada bloccata da un grande toro».
E con i numeri come si fa?
Matteo scrive su un foglietto un numero chilometrico: 2512461125001017301508. «Sono 22 cifre. Per memorizzarlo, il sistema è sempre lo stesso: costruire una storia. È il giorno di Natale (2512) e al posto di Babbo Natale arriva Valentino Rossi (46 è il numero della sua moto). Allora ti spaventi e chiami i carabinieri (112) che arrivano su una Fiat 500, da cui escono tantissimi dalmata (101, come nel film) che compilano il più diffuso modello fiscale (730). Ma tu lo consegni quando è tutto chiuso, a Ferragosto (1508)».
I bambini sono come delle spugne: assorbono tutto. Perché da adulti perdiamo questa capacità?
«La vita frenetica ci fa perdere la curiosità per le cose nuove. Un bambino invece si chiede: perché quell’oggetto è di quel colore? Chi è quella persona? Perché è vestita così?»
Perché ricordiamo meglio un film o una canzone che abbiamo visto o sentito da giovani rispetto ad altri che abbiamo visto o sentito anche solo da pochi giorni?
«Sempre per lo stesso motivo: con il tempo la memoria razionale tende a prendere il sopravvento su quella emotiva. C’è gente appassionata di calcio che ricorda la formazione della squadra del cuore di quarant’anni fa. E lì non c’è nessuna tecnica: agisce solo l’emozione. Il desiderio è sempre la chiave dell’apprendimento».