Il panico da foglio bianco non era un problema suo: «Da timida, preferivo gli scritti agli orali, perché c’era tempo di pensare». Adesso, invece, pensando alla maturità imminente, un po’ di paura monta, per paradosso, anche se non sono suoi né il foglio né l’esame, se non per interposte persone. Perché Valentina Petri è una prof dalla penna facile che insegna Italiano all’Istituto professionale Francis Lombardi di Vercelli e nel tempo libero scrive esilaranti romanzi sulla scuola.
L’ultimo, Vai al posto, uscito per Rizzoli, racconto corale di aule di vita quotidiana: «Quest’anno con le commissioni interne per via del Covid il problema si sente meno, ma in condizioni normali ti assale la Un racconto corale di vita verosimile tra i banchi Maturità 2022, restano le mascherine ma tornano gli scritti di italiano e di indirizzo. Sotto, Valentina Petri, 44 anni, insegnante di Lettere all’Istituto professionale Lombardi di Vercelli e scrittrice. Vai al posto è il suo terzo romanzo sulla scuola dopo Portami il diario e Il segreto di Piallato. domanda tipica dell’allenatore: sarò stata capace di insegnare quello che io so fare, che nello sport è un gesto tecnico e per noi è mettere dei pen-sieri su un foglio? Al momento della prova sapranno farlo?».
Il paragone conferma l’idea che noi praticoni da tastiera abbiamo da sempre: che la scrittura sia un po’ parente della pratica sportiva. Più la si allena, più naturale viene: «È così, bisognerebbe allenarla leggendo e scrivendo fin dalle primarie, cosa che però si fa sempre meno, dacché la scuola è satura di mille altre incombenze che vanno dall’educazione civica, all’educazione alimentare passando per quella stradale: a 15 anni è difficile rimediare ai buchi pregressi». Ma poi, domanda del millennio, la scrittura è un mestiere che si insegna o si può solo imparare rubandolo? «Mi sa che il punto è arrivare a insegnare a “rubarlo” a ragazzi che non sono abituati a leggere, né a scrivere se non con due pollici: in un professionale ti devi scordare di perdere le ore su una figura retorica, con classi che rappresentano una realtà variegata, fatta anche di persone che in casa parlano un’altra lingua. Però si può provare ad appassionarli a un racconto come Romeo e Giulietta, di cui nulla sanno, e quando vedi che alla fine ci restano male per come va a finire capisci che ha funzionato. E comunque nella scrittura c’è una componente innata, un po’ come la mano per il disegno.
C’è chi ha guizzi anche se a casa non parla italiano e chi madrelingua fatica a prescindere» Il professionale non è in genere l’angolo da cui i media affrontano il tanto dibattuto tema di maturità, perché ciclicamente torna la questione se le tracce, uguali per tutti, non siano troppo pensate per i liceali: «È giusto che siano uguali per tutti, è un fattore di non discriminazione, diversificare la prova di italiano sarebbe come dire: tanto non sei capace. Già si ghettizzano da soli, all’inizio del primo anno ti chiedono: “Ma perché dobbiamo fare queste cose se siamo un professionale?”. Tocca a noi far capire che avere parole per esprimer-si è importante per la vita, qualunque cosa si faccia, e che tutti ci possono arrivare. Dopodiché sappiamo che il metro di valutazione sarà diverso a seconda del contesto. Ma non darei troppo peso a certe statistiche: dobbiamo ricordare che quelli che oggi fatichiamo a tenere dentro, prima alle superiori neanche entravano».
In compenso negli ultimi giorni di scuola ha tenuto banco la querelle del “dress code” e diventa allora inevitabile chiedere e chiedersi se non sia un po’ vero che all’esame anche l’abito fa il monaco: «Penso si tratti di farsi un po’ furbi noi e loro; da insegnanti e dirigenti dovremmo ormai aver capito che i diktat dall’alto sull’abbigliamento sortiscono solo l’effetto di farli arrivare il giorno dopo tutti vestiti con la pancia di fuori per protesta.
Meglio ragionare con loro sul fatto che anche Damiano dei Maneskin, se accompagna la fidanzata nei palazzi del potere, lascia a casa le borchie e si mette “perbenino” con la giacchetta e che Chiara Ferragni, per ritirare l’Ambrogino d’oro, sceglie un abito elegante e molto formale. Allora perché rischiare di influenzare negativamente una commissione facendo i trasgressivi a tutti i costi durante un rito di passaggio, un gesto in cui si ha solo da perdere?». Saranno anche, come dice la prof, «esempi “altamente intellettuali”», ma non fanno una grinza.