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venerdì 11 ottobre 2024
 
Max Pezzali
 

Max Pezzali: «Sono cambiato ma rifarei tutto, anche gli errori»

13/06/2015  In “Astronave Max”, il nuovo suo album, il cantautore pavese è più ottimista e sereno del passato. Del quale però non vuole buttare via nulla

A quattro anni da Terraferma e a due dal successo di Max 20, Max Pezzali torna con un nuovo album, Astronave Max (Warner), il quarto di soli inediti, che il cantautore porterà in tour da settembre. È un Max ottimista e introspettivo, più maturo e consapevole, che fa ordine nella vita e riparte dalla sua Pavia, dove da quasi un anno è tornato a vivere.
Quella di Max era la Pavia di un ragazzino che nella soffitta di casa, dietro il negozio di fiori dei genitori, si divertiva a montare e smontare modellini di aeroplani, sognando cowboy e rincorrendo un futuro fantastico insieme all’amico e compagno di banco Mauro Repetto.

Piacevole scoprire che da allora nulla è cambiato, che quel ragazzo oggi un po’ nostalgico ma sempre ottimista, pieno di sogni e speranze, è ancora lì. Ieri come oggi. Pur con una vita spinta al massimo nel mezzo. E un figlio, Hilo, di quasi sette anni, per il quale è un vero e proprio supereroe.

- Astronave Max è il nuovo album. Perché questo titolo?

«Le canzoni sono nate in un arco temporale lungo ed era difcile trovare un comune denominatore: l’astronave mi sembrava il contenitore adatto. E poi c’è la mia grande passione per le missioni Apollo e l’idea di allontanarsi per vedere la Terra nella sua interezza. Metaforicamente, è guardare i problemi dal di fuori che aiuta a superarli».

- Il viaggio, tema che torna in numerosi testi, cosa signica per lei?


«Ho sempre pensato che il viaggio mi potesse affrancare dalla monotonia della vita di provincia. Salvo rendermi poi conto che più tento di allontanarmi più mi ritrovo qui: punto di partenza e di arrivo coincidono. Sono il prodotto assoluto di questi luoghi, qui c’è la mia essenza. Il viaggio è esplorazione, ma se non hai un posto dove tornare non serve esplorare».

- Oggi chi è Max Pezzali?


«Uno che deve iniziare da capo ogni volta, che si sente ancora un ragazzo inadeguato, ma quel suo sentirsi inadeguato è il motore per fare sempre qualcosa di nuovo.»

- Ma il singolo È venerdì trasuda di spirito leopardiano...

«Torna il tema dell’attesa, ma mentre in Il sabato del villaggio c’è una sorta di pessimismo cosmico per cui è soltanto l’attesa della felicità che porta felicità, in sé effimera, il mio venerdì è una decompressione dell’ansia della settimana».

- Il suo pubblico è ormai diventato trasversale...

«Ho recuperato la vecchia visione del pop come intrattenimento. Oggi si tende ad avere una visione monolitica. Io invece, spazio e mischio cose diverse».

- Difficile individuare in questo nuovo album il “lento d’amore”, erede di una tra le sue canzoni più scaricate, L’universo tranne noi...

«Perché non c’è. Quello era un pezzo angosciato e angosciante, disperato. Qui si sente di più l’ottimismo. Ma ho scritto qualcosa, che non ho fatto in tempo a finire, che potrebbe proseguire in quella direzione. Arriverà dopo il tour, insieme a un nuovo album in cui racconterò la contemporaneità».

- Suo figlio che cosa pensa del suo lavoro?

«Lo sta scoprendo adesso: è consapevole ma non si esalta. In compenso si diverte da morire a seguirmi ai concerti e nelle stanze d’albergo. Ha da poco iniziato a fare due accordi con la chitarra e ha un senso innato della melodia. E da nativo digitale è lui a scattarmi le foto con i fan. Mi diverte quando mi chiede: “Ma quello perché ti ha fermato? Lo conosci?”».

- Niente di grave, altra traccia dell’album, parla del rapporto genitori- figli. Lei è un padre apprensivo?


«Lo ero di più prima. Sono diventato fatalista quando mio figlio ha rischiato di morire, a soli quattro anni e mezzo, per la sindrome di Kawasaki, una rara forma di vasculite che può provocare aneurismi, ictus e infarti e che si preannuncia con febbre altissima e deliri. L’unica cura è una terapia di gammaglobuline, che a lui hanno fatto arrivare in elicottero, di notte, perché in ospedale non ne avevano più. Oggi deve vivere sotto stretto controllo dal punto di vista cardiovascolare. L’unica associazione che in Italia si occupa di questa malattia è “Gli amici di Lapo”, collegata con l’ospedale Meyer di Firenze.

- “Col senno di poi”, tra l’altro titolo della sua sesta traccia, cosa non rifarebbe?

«Rifarei tutto, assolutamente ogni cosa, compresi anche gli errori. Il prodotto di quello che siamo è il percorso che abbiamo fatto e che, fino a prova contraria, rimane il migliore possibile».

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