Ieri la prima ministra britannica Theresa May ha firmato l’atto che avvia Brexit, cioè l’uscita del Regno Unito dall’Unione Europea. May ha firmato la lettera che attiva l’articolo 50 del Trattato di Lisbona nella sua residenza di Downing Street, accanto alla bandiera britannica e davanti a un grande caminetto sovrastato da un ritratto di Sir Robert Walpole, il primo premier nella storia della Gran Bretagna. Oggi la lettera viene consegnata a mano al presidente del Consiglio Europeo, il polacco Donald Tusk, da Sir Tim Barrow, il barbuto rappresentante permanente del Regno Unito a Bruxelles.
Esultano i tifosi di Brexit, come i tabloid popolari, che titolano “LIbertà!” (il Daily Mail) e “Cara Europa, è tempo di andarcene” (Daily Mirror). Altri osservatori sono più cauti, com il Guardian, che titola: “La Gran Bretagna fa un salto nell’ignoto”.
Il percorso che porterà la Gran Bretagna fuori dall’Europa dopo una convivenza di 44 anni durerà almeno un biennio. Il prossimo 9 aprile i 27 stati membri dell’Unione europea si riuniranno per discutere l’uscita del Regno Unito, poi partiranno i negoziati fra Londra e Bruxelles. Per Londra negozierà David Davis, 67 anni, nominato ministro per Brexit. La sua controparte per l’Europa sarà il francese Michel Barnier, 65 anni, ex commissario europeo. I negoziati dovranno portare a un accordo, ma anche in mancanza di un accordo la Gran Bretagna lascerà l’Unione Europea nell’aprile del 2019.
I temi su cui Londra e i 27 dovranno trovare un’intesa sono molti e spinosi: la protezione dei diritti dei cittadini europei in Gran Bretagna e dei britannici nella Ue, l’immigrazione, i rapporti commerciali. Per il Regno Unito Brexit non sarà a costo zero. L’uscita dall’Unione potrebbe costare fino a 60 miliardi di euro, come compensazione per gli impegni già presi in sede comunitaria. Ma anche questo sarà un punto caldo della trattativa che si aprirà nelle prossime settimane.
Intanto la Scozia preme per indire un nuovo referendum con il quale chiedere la separazione dal resto della Gran Bretagna. La richiesta di indipendenza scozzese fu già bocciata in un referendum del 2014, ma dopo il referendum su Brexit del giugno 2016, la Scozia ribadisce la sua volontà di fare da sola.
Brexit è stata decisa da una maggioranza del 52 per cento dei votati, ma il 62 per cento degli scozzesi si è espresso per restare nell’Unione Europea. La prima ministra scozzese Nicola Sturgeon perciò vuole un nuovo referendum. Theresa May le ha risposto che i tempi non sono maturi, ma intanto il Parlamento di Edimburgo ha approvato al richiesta di un nuovo referendum per l’indipendenza e anche l’Irlanda del Nord guarda con favore la permanenza in Europa. Per Londra, insomma, si stanno aprendo molti fronti: Bruxelles, Edimburgo, Belfast. La Great Britain rischia davvero di diventare Little Britain.