Pare che nel 2023 debbano succedere cose certamente migliori di quelle di cui siamo stati testimoni nel 2022. Tralascio i discorsi politici, anche se sono rilevanti. Vorrei solo fermarmi sul concetto di tempo. Lo abbiamo sempre abbinato ad eventi di grande o di piccolo spessore, dimenticandoci che il tempo da solo è un evento primo perché nessuno di noi ne è personalmente padrone, secondo perché socialmente ha un peso enorme. Perciò se una cosa dovesse accadere nel nuovo anno, vorrei tanto che si chiamasse “PACE”!
E’ malinconico oggi osservare i tentennamenti delle varie politiche. Quello della pace, dice Tonino Bello, sembra un campo minato da mille prudenze, recintato dal filo spinato di infinite circospezioni, protetto da pavidi silenzi, e confuso tra infiniti condizionali. Promuoviamo per 365 giorni una cultura di pace personale e sociale. È difficile parlare con onestà e chiarezza di pace quando le piccole guerre le troviamo in casa, nei vicoli di certe periferie, e nelle nottate violente e movimentate di giovinastri. Sarebbe bello se, allargando lo sguardo sulle giornate, vedessimo giustizia, serenità e profezia. Quando arriverà il mese nel quale potremmo spalancare le nostre finestre e vedere la carità, la bellezza e la solidarietà camminare?
La pace non deve e non può aspettare le date e i tempi dei calendari e delle burocrazie. Preserviamo i nostri figli dalle trasfusioni informatiche avvelenate, che i vari schermi, piccoli o grandi, offrono loro. Qualsiasi giorno del 2023 dovrebbe avere una primavera che sappia anticipare il maturare di fiori e frutti di umanesimo, di fraternità e di politiche nuove. Dice Vernillo: «Riconosceremo tutti il sapore del quotidiano e l’odore di essere al mondo ogni giorno generando semi ricchi nel campo infinito del tempo e cercando di riscoprire i pensieri fertili, che escono dal nostro cuore, e sono li sulle labbra per cantare la pace e la vita».