Rifugiati tigrini fuggiti in Sud Sudan.
Strada che da Mekele porta verso Adigrat, nel Tigray, regione settentrionale dell’Etiopia al confine con l’Eritrea, dove dallo scorso novembre è in corso una guerra terribile e nascosta agli occhi del mondo. È il 23 marzo.
Sulla strada sta viaggiando un veicolo di Medici Senza Frontiere, con tre membri dello staff e le insegne ben riconoscibili. Lungo il tragitto, si imbattono in quello che pare l’esito di un'imboscata compiuta da un gruppo armato contro un convoglio militare etiope. A terra, soldati feriti e uccisi. Mezzi militari ancora in fiamme.
«I soldati etiopi», racconta Karline Kleijer, responsabile Msf per l’emergenza nel Tigray, «hanno fermato il nostro mezzo e due minibus pubblici dietro di noi. Hanno costretto i passeggeri a scendere dai minibus. Gli uomini sono stati separati dalle donne, a cui è stato permesso di andarsene. Poco dopo, gli uomini sono stati uccisi. Gli operatori Msf sono stati autorizzati a lasciare il posto, ma hanno visto i corpi delle persone uccise sul ciglio della strada. Lo stesso mezzo di Msf è stato poi nuovamente fermato dai soldati che hanno costretto l'autista a scendere, per poi picchiarlo con il retro di una pistola e minacciarlo di morte».
Uno degli ospedali saccheggiati e devastati nel Tigray da parte delle forze militari governative etiopiche.
Un’esperienza traumatizzante per gli operatori della Ong internazionale, ma che è solo una goccia di ciò che da ormai quasi cinque mesi accade nel Tigray, senza poter essere documentato e raccontato se non sporadicamente. Msf è tra le pochissime organizzazioni a cui è stato concesso il permesso di accedere alla regione, dove sta fornendo assistenza medica e riabilitando le strutture sanitarie danneggiate.
Le strutture sanitarie tigrine sono state infatti bersaglio di attacchi intenzionali e diffusi. Solo il 13% delle 106 strutture sanitarie visitate dagli operatori umanitari tra metà dicembre e inizio marzo sta funzionando normalmente: quasi il 70% sono state saccheggiate e più del 30% danneggiate. La maggior parte è stata colpita intenzionalmente.
Prima che il conflitto iniziasse nel novembre 2020, il Tigray aveva uno dei migliori sistemi sanitari del Paese. Questo sistema oggi è al collasso. Tra le strutture visitate da Msf, una su cinque era stata occupata da soldati e alcune lo sono ancora. La maggior parte delle ambulanze è stata sequestrata da gruppi armati. Le équipe della organizzazione non governativa hanno visto che alcuni di questi veicoli sono stati utilizzati dai militari per il trasporto di merci vicino al confine eritreo. A Mugulat i soldati eritrei utilizzano il centro di salute locale come base operativa.
Il premier etiope Abiy Ahmed Ali.
E queste osservazioni sul campo confermano ciò che viene denunciato da tempo e che solo pochi giorni fa è stato ufficialmente ammesso dal premier etiope Abiy Ahmed Ali, Premio Nobel per la pace 2019: in Tigray stanno operando anche truppe eritree a sostegno di quelle etiopi. Ahmed lo ha confermato martedì rispondendo alla question time in Parlamento, dopo che per mesi sia lui che l’Eritrea avevano smentito. Non solo: il premier ha anche riconosciuto che “alcuni” membri dell’esercito si sono macchiati di crimini e atrocità e che ne dovranno rispondere.
La Commissione etiope per i diritti umani, istituzione indipendente, ha poi confermato la strage di Axum, di cui si parlava da mesi senza conferme ufficiali: la commissione si è recata sul posto, ha ascoltato testimoni e vittime sopravvissute e ha confermato che oltre cento civili sono stati massacrati fra il 28 e il 29 novembre da soldati eritrei, che hanno ucciso a sangue freddo persone disarmate, anche disabili, colpendo ripetutamente e volontariamente anche le chiese. Secondo la Commissione, si configurano crimini di guerra e contro l’umanità.