Una signora distinta, capelli biondi su pelliccia e tacchi alti neri, aspetta il suo turno seduta sul divanetto rosso di una stanza accogliente. Davanti a lei un uomo anziano, mani grandi da lavoratore e pelle olivastra, fa la stessa cosa. I due sono entrambi calabresi, si raccontano, sono lì per lo stesso medico, per la stessa visita.
Si trovano nell’ambulatorio di medicina solidale dell’Associazione calabrese di epatologia (Ace) di Pellaro, periferia sud di Reggio Calabria. Una palazzina a un piano, semplice e ben curata, che sull’azzurro della parete davanti alla porta d’ingresso costringe il visitatore a leggere la stessa frase che san Giuseppe Moscati poneva ben in vista accanto a un cesto nella sala d’attesa del suo studio: “Chi ha, doni. Chi non ha, prenda”. Chiunque approdi qui, infatti, non paga nulla: può fare un’ecografia, una visita specialistica gratis, lasciando, se può e vuole, un contributo volontario.
Si prenota via telefono o via telematica, per accedere è necessaria una prescrizione motivata di un medico del Servizio sanitario nazionale. L’appuntamento arriva in pochi giorni: «30 mila prestazioni erogate nel 2015», racconta con la luce negli occhi Lino Caserta, gastroenterologo, presidente dell’associazione e medico volontario.
Qui lavorano 36 persone, 25 volontari attivi a diverso titolo, ci spiega, 3 infermieri presi a tempo indeterminato part-time, un nutrizionista, 7 medici a contratto. Un piccolo miracolo calabro, qualche giovane assunto sottratto alla migrazione, conti che tornano: il bilancio 2015 è stato chiuso a quasi 300 mila euro, provenienti soprattutto da donazioni libere di cittadini che credono nel progetto.
Tutto nasce da una forte motivazione: «Ho studiato a Milano dove, dopo la laurea, avevo cominciato a lavorare. Ma desideravo tornare nella mia terra. Ho trovato un lavoro al policlinico Madonna della Consolazione di Reggio Calabria», racconta il professor Caserta, che oggi lì è primario di medicina. «Bisogna rimuovere gli ostacoli di ordine sociale, economico e culturale che impediscono un’equa opportunità di accesso alle prestazioni, estendendo il sistema di protezione sanitaria anche a quanti ne siano rimasti esclusi. Io vivo con 3 mila euro al mese, è abbastanza, mantengo i miei figli all’università come mio padre, portalettere, ha mantenuto me. Se facessi visite private guadagnerei il triplo, ma preferisco fare volontariato e insegnare ai miei figli che devono costruirsi da soli, per avere stima di loro stessi».
Parla con voce calda Lino Caserta, chiacchiera con la gente, si fa dare del tu, mostra le foto della distruzione che c’era in questo luogo, nato come struttura psichiatrica, mai usata, abbandonata per dieci anni e ricevuta in comodato d’uso: «Abbiamo fatto i lavori con il contributo volontario di cittadini e amici, è il frutto di un’intera comunità. L’inaugurazione è avvenuta nel 2010».
Ma questo non è soltanto un ambulatorio, non fornisce solo assistenza sanitaria. L’Associazione calabrese di epatologia, nata nel 1996, fa anche ricerca epidemiologica. Nel 2002 ha iniziato la sua collaborazione con l’Istituto superiore di Sanità avviando il “Progetto epatiti”, molte le pubblicazioni sulle più importanti riviste scientifiche. Con il progetto M.A.RE.A (Metabolic Alterations in Reggio Calabria Adolescents), è stata condotta un’indagine specifica sugli adolescenti, 650 studenti tra gli 11 e i 13 anni: «La malattia del benessere, l’obesità, colpisce le popolazioni più povere», precisa Caserta, «e in alcune regioni del Sud si vive in media quattro anni in meno che al Nord: ci saremmo aspettati una vita migliore, più tranquilla, in realtà non è così, effetto delle disuguaglianze sociali ed economiche. Si mangia peggio perché costretti a comprare alimenti di qualità inferiore; i bambini più obesi, esposti al rischio cardiovascolare, sono i figli di persone con più basso livello di scolarizzazione», aggiunge il professore.
Per questo motivo l’Ace si occupa anche di divulgazione finalizzata alla prevenzione, di formazione e aggiornamento degli operatori della sanità. E per il futuro ha un sogno: una “cittadella” che comprenda un centro sanitario, un centro di ricerca, sale studio, un auditorium, qualche stanza per ospitare i ricercatori e gruppi di studio.
Mentre parliamo la sala d’attesa si riempie. La signora bionda viene chiamata, poco dopo anche l’anziano dalle grandi mani: «Questo non è un ghetto, è un luogo davvero per tutti. Sono stati coinvolti i migliori professionisti di Reggio Calabria, anche i ricchi vengono in questo centro proprio per la qualità che forniamo». E si siedono vicino al povero, si parla la stessa lingua. «È nei momenti di paura per la malattia, di ansia, che si diventa davvero tutti uguali».