Potrebbero essere un esercito, e far saltare la programmazione degli atenei. L’hanno deciso i giudici del Tar, che hanno dato ragione a quegli studenti che, bocciati all’ultimo test d’ingresso di Medicina, nell’aprile scorso, hanno aderito al maxi ricorso promosso dall’Udu (Unione studenti universitari) per presunte irregolarità. Per il momento sono oltre 5000 gli “ammessi con riserva”. Considerando che i posti messi a concorso nella totalità degli atenei italiani erano in tutto circa 10.000, gli estremi per far saltare gli equilibri ci sono tutti.
A Bologna, per esempio, ogni anno vengono messi a disposizione 440 posti, ai quali, secondo le previsioni, dopo il ricorso potrebbero aggiungersene altri 200.
«Siamo molto preoccupati» ha dichiarato Luigi Bolondi, presidente della Scuola di Medicina, «le nostre aule e i nostri laboratori non potrebbero reggere questi numeri, è a rischio il riconoscimento della stessa laurea a livello europeo».
Un pasticcio infinito, in un momento in cui i nostri giovani avrebbero più che mai bisogno di certezze. E invece la confusione regna sovrana. Dove potranno iscriversi, infatti, gli studenti bocciati e poi ammessi con riserva dal tribunale?
In un primo momento il ministero, con una delle sue formulazioni astruse, aveva fatto sapere che i reintegrati avrebbero dovuto scegliere «l’ateneo dove lo scarto tra il punteggio acquisito e il punteggio del primo classificato risultasse minimo». In altre parole, visto che le graduatorie sono nazionali, i ricorrenti avrebbero dovuto accontentarsi degli atenei meno gettonati. Ma l’Udu ha risposto picche, perché «in questo modo si sarebbero creati atenei ghetto». E il Ministero ha fatto marcia indietro. Di fatto, ha chiarito poi il tribunale, gli studenti riammessi potranno iscriversi nella sede in cui hanno fatto il test.
Per chi ha passato l’estate a studiare e ce l’ha fatta si tratta di una vera e propria beffa. Succederà infatti che chi ha superato il test a Bologna, per esempio, ma per la sua posizione in graduatoria si è trovato a costretto a ripiegare su un ateneo lontano dalla sua città e affrontare i disagi e i costi di un fuorisede, vedrà subentrare proprio nelle aule bolognesi chi il test non l’ha affatto superato. E sarà inutile, a questo punto, far notare che in questo modo saltano le regole e si dà ai giovani l’ennesimo esempio di poca serietà.
Di fatto si è scelta la via giudiziaria per far saltare il meccanismo del test, che in questi anni comunque aveva garantito la salvaguardia di un percorso di formazione di vitale importanza come quello del medico, in un settore oggi più che mai critico. Il ministro ha già annunciato la volontà di cambiarlo, per il prossimo anno, adottando un sistema alla francese, il che significa accesso libero per tutti e selezione e riorientamento al secondo anno per i respinti, ma la conferenza dei rettori ha posto l’alt alla proposta, che manderebbe in tilt gli atenei. In realtà voci autorevoli avevano già chiarito che il test, con i tutti i suoi limiti, è forse il male minore, visto che sarebbe una follia rinunciare al numero programmato. Basterebbe migliorarlo, magari aggiungendo una prova motivazionale. Gli esperti per aggiustarlo non ci mancano. O dobbiamo sempre lasciar fare ai giudici?