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sabato 10 giugno 2023
 
Medio Oriente
 

Donald Trump e gli «Accordi di Abramo»: sarà vera pace?

16/09/2020  Piaccia o no, il Presidente degli Usa incassa una vittoria clamorosa in politica estera alla vigilia delle elezioni. E l'Unione Europea rimane a guardare. L'analisi di Fulvio Scaglione (foto Ansa)

Con l’adesione del Bahrein agli Accordi di Abramo, poco tempo fa firmati dagli Emirati Arabi Uniti, prende ritmo e consistenza il piano di Donald Trump per il Medio Oriente. Quello che si intravvede è un riassetto globale della regione, destinato a mettere in forte crisi non solo il fronte sciita (Iran, Iraq, Siria e Libano di Hezbollah) ma anche quella parte del mondo sunnita (Turchia) che negli ultimi tempi è sembrata troppo sensibile alle sirene dell’autonomia strategica e della partnership con l’interlocutore più conveniente (Russia, Cina) a dispetto della tradizionale alleanza con gli Usa.

Alla base di tutto c’è il cosiddetto Piano di pace presentato nel gennaio di quest’anno. Lo scopo dichiarato era quello di risolvere il lunghissimo conflitto tra israeliani e palestinesi. Il Piano, in realtà, prevedeva non un accordo paritario ma la consacrazione delle ragioni di Israele, che vedeva riconosciute tutte le proprie pretese (a cominciare dalla legalizzazione di ogni sorta di insediamento), mentre ai palestinesi veniva concesso uno pseudo-Stato dipendente in tutto dalla buona volontà dello Stato ebraico, notoriamente non abbondante.

Serviva alla Pace, quel Piano? Difficile crederlo. E infatti i palestinesi, pur impotenti, ne sono usciti più incattiviti di prima. Forniva però alle monarchie e agli emirati del Golfo Persico un “quadro” in cui pacificare la cattiva coscienza nei confronti dei palestinesi, da tempo diventati più un fastidio che una causa per cui battersi. C’era uno Stato per loro, e la promessa di miliardi di dollari di investimenti per risollevare le miserie della Cisgiordania e di Gaza. Abbandonati da tutti, deboli e costretti a una inutile ricerca del martirio, che potevano volere di più? Non solo. Quando il pericolante Governo Netanyahu-Gantz ha cercato di darsi una spinta con l’idea di annettere subito gli insediamenti in Cisgiordania (ovvero, di implementare subito il Piano rifiutato e mai firmato dai palestinesi), gli Emirati Arabi Uniti hanno fatto sapere che avrebbero firmato gli Accordi (quelli appunti cui ora si è aggiunto il Bahrein) solo se l’annessione fosse stata almeno rinviata. Detto fatto.

Un po' di teatro, insomma. Come si conviene in una regione dove gli animi sono esacerbati e dove le cerimonie hanno ancora la loro importanza. Attenzione, però: gli Accordi di Abramo sono una cosa seria e, in prospettiva, una rivoluzione per il Medio Oriente. Chissà chi ha avuto l’idea di intitolarli al patriarca delle tre grandi religioni monoteistiche. Se lo scopo era, di nuovo, di fare un po' di teatro, possiamo lasciar correre. Però il viaggio che Abramo intraprese quando aveva già 75 anni, si ipotizza tra il 1800 e il 1700 avanti Cristo, da Ur dei Caldei a Canaan, corrisponde esattamente alla Mezzaluna Fertile che oggi è controllata dagli sciiti (Iraq, Iran, Siria e Libano, come si diceva). Il che trasforma un titolo a effetto in un embrione di programma politico e strategico: espugnare i bastioni degli sciiti o almeno renderli inoffensivi.

In Israele sono molto chiari: questi sono Accordi in chiave anti-Iran, il Paese che nello Stato ebraico e nel golfo Persico, oltre che ovviamente negli Usa, è considerato il nemico numero uno, il principale (se non l’unico) responsabile di tutti i sanguinosi problemi del Medio Oriente. E in quanto tali, troveranno compimento solo nel momento in cui comprenderanno il Paese che è il vero obiettivo della strategia trumpiana: l’Arabia Saudita. Il regno oggi diretto dal principe Mohammed bin Salman aderirà presto, questo è ormai chiaro. A quel punto, bisognerà capire se questa alleanza tra lo Stato ebraico (sempre più percorso da vene di radicalismo religioso) e il mondo wahabita avrà davvero come lo scopo la pace o la guerra. In altre parole, se l’alleanza tra la potenza militare e tecnologica di Israele e i fondi senza fine dei Paesi arabi, benedetta dalla superpotenza americana, non cederà alla tentazione di farla finita con l’Iran. Spalancando di nuovo le porte a un conflitto epocale in Medio Oriente.

Sono domande premature ma non troppo, perché l’asse costruito da Donald Trump avrà una potenza economica e militare enorme. A questo proposito, Trump incassa in politica estera una vittoria clamorosa che, piaccia o no, surclassa i titubanti tentativi messi in atto a suo tempo da Barack Obama e Hillary Clinton. E lo fa rovesciando i presupposti che la politica americana e internazionale ha considerato fondamentali per la pace in Medio Oriente: la costruzione di uno Stato per i palestinesi e la pacificazione dei rapporti con l’Iran. Trump ha cancellato qualunque ipotesi di una soluzione “due Stati” e ha aperto un durissimo scontro frontale con l’Iran. Viene ora premiato da un accordo tra Paesi che sembravano destinati a combattersi in eterno. Un Accordo che, Abramo o no, è pieno di ambiguità, ombre e retropensieri, ma resta un accordo. Una prospettiva, per molti una speranza.

Assente, ma non è una novità, l’Unione Europea, completamente tagliata fuori da questo processo. Tutti sono capaci di imporre sanzioni alla Siria, tanto per fare un esempio. Pochi, e di certo non gli europei, riescono ad afferrare lo Zeitgeist, lo spirito dei tempi, e a indirizzarlo. Anche se questo fronte Israele-Golfo Persico, se dovesse resistere e funzionare, e raccogliesse intorno a sé Paesi importanti e assai ben disposti come l’Egitto, potrebbe porci notevoli problemi. Una dei laboratori tecnologici più all’avanguardia si salda con la cassaforte del mondo e con le sue enormi risorse energetiche. Se gli Accordi di Abramo dovessero produrre anche un’intesa sulle politiche economiche, l’Unione Europea avrebbe un brutto cliente con cui trattare.

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