Una modesta proposta: abolire i servizi segreti, a partire dalla Cia e
dal Mossad. La crisi del Medio Oriente, ancora una volta, ha colto di
sorpresa le due più potenti e stimate organizzazioni di intelligence,
lasciando i rispettivi Paesi in una paralisi politica e organizzativa
che può solo preoccupare. Se consideriamo che l’esercito egiziano è, di
fatto, mantenuto dagli Usa e che i rapporti con l’Egitto (in genere, ma
vista anche Gaza) sono decisivi per Israele, la proposta è meno
paradossale di quanto sembri.
Cito gli Usa e Israele perché sono i Paesi che, insieme
con l’Italia, hanno più da perdere e/o da guadagnare dallo svolgimento degli eventi nel grande Stato egiziano.
Il sabotaggio al gasdotto del Sinai che fornisce sia Israele (che
dall’Egitto importa il 40% del proprio fabbisogno) sia Giordania ci
ricorda, peraltro, che le inquietudini non sono solo politiche. Credo
sia più corretto, però, rovesciare la questione. Ci stiamo preoccupando
troppo dell’interesse di questo o quello Stato e troppo poco
dell’interesse delle popolazioni interessate: solo in Egitto 80
milioni di persone, altri 32 milioni di Marocco, 36 in Algeria,
6,5 in Libia,più di 4 nei Territori palestinesi e così via, fino ai 23
milioni dell’Iraq.
Quella a cui stiamo assistendo è, con ogni evidenza, una
crisi di sistema. A prescindere dai risultati di governo,
peraltro mai più che mediocri, le monarchie post-coloniali
(Marocco, Giordania e Arabia Saudita) stanno perdendo la presa,
anche se hanno dovuto fare ampie concessioni all’islam più radicale; e
la stessa cosa accade ai regimi laici (Egitto e Tunisia, ma
anche il Sudan della secessione), in genere affidati dalle
potenze ex coloniali a militari o poliziotti in borghese. Si tende, per
pigrizia intellettuale e comodità politica, a dare troppo peso al
fondamentalismo islamico. Che esiste,colpisce, è pericoloso. Ma quasi
ovunque è una conseguenza del problema, non una causa. Con, forse, una
sola eccezione: l’Arabia Saudita, patria di Osama Bin Laden,
Paese che finanziò con generosità i talebani, regno del wahabismo come
religione di Stato. Regime che noi di solito definiamo, con gran
coerenza, “moderato”.
Ora i leader chiedono per l’Egitto una “transizione moderata”.
Schierano i giornalisti compiacenti per sventolare lo spauracchio dell’estremismo islamico. Vedo un leader abile, accorto e di lunga
navigazione come l’israeliano Bibi Netanyahu sospirare
che “alle forze estremiste non deve essere permesso di sfruttare il
processo democratico per andare al potere e promuovere programmi
antidemocratici come in Iran”. Come lui, a quanto pare, molti leader occidentali hanno creduto di potersi affidare a vecchi tiranni un po' bolsi, pensando forse che 250 milioni di mediorientali se ne
stessero fermi lì, a godersi regimi di ladroni violenti.
A mandare in pezzi l’equilibrio del Medio Oriente non è l’islamismo
ma una forza di lungo periodo, i cui effetti potevano (dovevano?) essere
previsti: la bomba demografica. Ecco una tabellina sulla quota
di popolazione sotto i 25 anni d’età in una serie di Paesi, con
qualche altra caratteristica:
- Marocco 47% sotto i 25 anni - livello
di corruzione: 85° su 178 Paesi censiti - livello di
democrazia: 116° su 167.
- Algeria 35,9% – 105°/178 – 125°/167
- Egitto 52,3% - 98°/178 - 138°/167
- Giordania 54,3% - 50°/178 - 117°/167
- Libia 47,4% - 146°/178 - 158°/167
- Arabia Saudita 50,8% - 50°/178 - 160°/167
- Tunisia 42,1% - 59°/178 - 144/167
Con certi dati, questa si può solo definire una bella serie di “Stati
canaglia”. E con certe percentuali di giovani e giovanissimi era
inevitabile che la pentola, prima o poi, sparasse fuori il coperchio.
Come succede periodicamente in Iran, del resto. Quelle masse di ragazzi
senza prospettive, pieni di contatti con il mondo (internet, i
telefonini, i social network proprio a questo servono) a dispetto di
tutti i muri, molto semplicemente non ce la fanno
più. L’errore più grosso che potremmo fare, a questo punto,
sarebbe provare a spiegargli che tutto deve tornare più o meno come
prima. Questo, sì, sarebbe il modo perfetto per regalarli a
quell’estremismo islamico da cui ancora riescono a tenersi lontani.
(fonti dei dati: Transparency International; Democracy Index)