Il tappeto rosso sul quale sfilano i divi di Hollywood sbarcati a Venezia per la Mostra del cinema, quest’anno, sarà un po’ più sbiadito. Sì, torna George Clooney per presentare Gravity, il film fantascientifico di cui è protagonista con Sandra Bullock che apre il Festival. Potrebbe essere seguito nei giorni successivi da altri due pezzi da novanta, come Nicolas Cage e Matt Damon, da dive già consacrate come Scarlett Johansson e da giovani che sperano di esserlo, a partire da Daniel Radcliffe. L’ex Harry Potter prova a crescere, calandosi nei panni del trasgressivo poeta della Beat Generation Allen Ginsberg in Kill your Darling. E c’è attesa per altri due idoli dei giovani: Zac Ephron, protagonista di Parkland, che ricostruisce le ore successive all’assassinio del presidente Kennedy, e la “ragazza terribile” Lindsay Lohan, impegnata in uno dei film che sicuramente faranno più discutere, The Canyons. Rivedremo con piacere anche il maestro dell’animazione giapponese Hayao Miyazaki, che presenterà Si alza il vento.
A parte loro, non ci saranno i fuochi d’artificio dell’ultimo Festival di Cannes e, per una volta, mancherà la coppia glamour Brad Pitt-Angelina Jolie. Il direttore della rassegna Alberto Barbera, del resto, è stato chiarissimo: «Oggi costa tantissimo portare le star con il loro nutrito staff al Lido, bisogna fare i conti con questa situazione». L’austerity potrebbe non essere così negativa, anzi: il menù della Mostra quest’anno, almeno sulla carta, appare più che mai appetibile. Partiamo dalla pattuglia italiana che ha già schierato nella pre-apertura a L’arbitro, commedia con Stefano Accorsi nei panni di una giacchetta nera corrotta, spalleggiato da Geppi Cucciari e Francesco Pannofino.
Tra i film in concorso, c’è grande attesa per il ritorno al Lido di
Gianni Amelio, già Leone d’oro per Così ridevano, con L’intrepido,
un’altra commedia dolceamara con Antonio Albanese. Un film che ben
sintetizza un filo rosso che attraversa gran parte delle pellicole
italiane in gara: il tentativo di raccontare i tempi di crisi che stiamo
vivendo, lasciando aperta però la porta alla speranza e, perché no, al
sorriso. Una vera inversione di tendenza dopo anni in cui sono state
presentate pellicole mestissime, spesso molto lodate dalla critica, ma
che poi regolarmente in sala nessuno è andato a vedere. Un altro
elemento che caratterizza alcuni film italiani è il ricorso ad attori
non professionisti: dai giocatori di rugby di Il terzo tempo ai senza fissa dimora di Venezia salva. La pellicola più originale in questo “filone” è senz’altro La mia classe:
Valerio Mastandrea interpreta un insegnante di italiano di autentici
studenti stranieri. Ma durante la lavorazione, la realtà è entrata
sempre più prepotente nella finzione tanto da spingere il regista
Daniele Gaglianone a entrare anche lui in scena.
Quest’urgenza
di aderire il più possibile alla realtà si ritrova pure nell’alto
numero di documentari in gara. Due sono addirittura in concorso per il
Leone d’oro:
Sacro Gra, di Gianfranco Rosi, ambientato nel Grande raccordo anulare di Roma, e
The Unknown Known,
con cui il premio Oscar Errol Morris mette sotto la lente
d’ingrandimento Donald Rumsfeld, il segretario alla Difesa di George W.
Bush che pianificò l’invasione dell’Irak nel 2003.
C’è attesa anche per
il documentario che il maestro polacco Andrzej Wajda ha dedicato al
leader di Solidarnosc Lech Walesa e per quello su Federico Fellini
realizzato dall’amico Ettore Scola. Un ultimo aspetto colpisce: un
consistente numero di film è tratto da opere letterarie di autori come
Michel Faber, Bret Easton Ellis, Cormac McCarthy. Anche la nostra Emma
Dante per il debutto al cinema con Via Castellana Bandiera ha scelto di
ispirarsi a suo omonimo romanzo. Molta carne al fuoco, insomma, per la
giuria presieduta da Bernardo Bertolucci, ruolo che ha già ricoperto nel
1983. «Allora ai film chiedevo sorpresa e piacere», ha dichiarato il
regista di Novecento. «Non sono cambiato». Il cinema sì. Vedremo come.