Gli italiani non si sposano. Se ancora ce ne fosse bisogno, l’Istat lo conferma nel rapporto su matrimoni, separazioni e divorzi relativo al 2014, anno in cui sono stati celebrati 189.765 matrimoni, 4.300 in meno rispetto al 2013. Quelli che si sposano, poi, “durano” in media 16 anni perché poi si separano. Questa, almeno, è la durata media delle unioni prima della rittura (quando lui avrà – sempre in media -47 anni e lei 44).
Ma attenzione: non è che i giovani italiani abbiano una propensione per la solitudine. Semplicemente scelgono la convivenza. Infatti le unioni di fatto sono più che raddoppiate dal 2008 e le convivenze tra giovani che non siano già reduci da un altro matrimonio sono 641mila nel 2013-2014, essendo decuplicate rispetto al 1993-1994. Par di vedere la scena: lui che chiede a lei o lei a lui “Vuoi fare un’unione di fatto con me?” una situazione che non si sarebbe immaginata nemmeno nel meno romantico dei romanzi o dei film. E pensare che invece quel che predomina è proprio il sentimento, l’emozione, il desiderio fisico, gli unici ingredienti celebrati da una società che dipinge il matrimonio come qualcosa di vecchio, stantio, noioso e soprattutto pesante. Ma evidentemente l’innamoramento non spinge a buttarsi, almeno nei sogni e nei desideri, nel “per sempre”. Meglio cominciare a vivere insieme, magari con la stanzetta in casa dei genitori intatta, pronta a riaccogliere in caso di litigio o frattura. Tanto il cordone ombelicale con la famiglia d’origine rimane spesso annodato dai turni per il cambio della biancheria e la stiratura che, si sa, è sempre stata una dei gradini più faticosi della vita nuova a due.
Ma troppo facile sarebbe buttare addosso ai giovani una sorta di egoistico desiderio di sottrarsi alle responsabilità e alle promesse a lungo termine “finche morte non ci separi” (come continuano a fare invece tante coppie che vivono nei Paesi in guerra in cui non c'è alcune certezza del futuro) e motivare con questo un calo dei matrimoni che ben altre ragioni trova in un Paese nemico della famiglia e ancor più di coloro che hanno ancora il coraggio di mettere al mondo un figlio. Il problema del lavoro insicuro, della mancanza di equità fiscale per chi si impegna di fronte alla società, della difficile, se non impossibile conciliazione famiglia lavoro sono solo alcune delle cause che vengono alla mente.
Ma anche tenere in conto solamente le ragioni economiche e sociali sarebbe miope ed impedirebbe di chiedersi, noi genitori, e forse ancor di più noi mamme quale messaggio stiamo mandando ai figli, e forse ancor di più alle figlie, di che cosa sia un matrimonio scelto non solo per innamoramento, ma anche per progetto e anche forse per scommessa, ma comunque abbracciato con la volontà di farlo vivere, mettendone già sul conto le fatiche quotidiane. Ma col la risoluta volontà di raccontarne le grandi bellezze (che sono innumerevoli) invece che seguitare a sottolinearne i sacrifici.