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Con il voto del 1° luglio il Messico volta pagina e inizia un nuovo capitolo di storia. Andrés Manuel López Obrador, leader del movimento populista di centrosinistra Morena, ha conquistato la presidenza del Paese, in una tornata elettorale che ha visto un'affluenza di più del 60% degli 89 milioni di messicani chiamati alle urne per scegliere, oltre al presidente, oltre 3.400 cariche pubbliche, tra governatori, sindaci, senatori e deputati locali e federali. Amlo (come tutti lo chiamano dalle iniziali del suo nome e cognome) è stato eletto con oltre il 53% dei consensi (più di 20 punti di distacco dal secondo candidato, il margine più ampio in una elezione presidenziale negli ultimi vent'anni), alla testa di una coalizione che ha messo insieme Morena (Movimiento Regeneración nacional), il Partido del trabajo (Pt) e il Partido Ecuentro social (Pes), sbaragliando le due grandi formazioni tradizionali, il Partido revolucionario institucional (Pri), di centro, e il Partido acción nacional, cristiano-democratico e conservatore.
L'elezione di López Obrador arriva al termine di una campagna elettorale particolarmente tesa e tormentata, la più sanguinosa della storia del Messico nei tempi recenti, segnata da più di 130 politici assassinati a partire da settembre del 2017, oltre agli attacchi e alla minacce. Il Messico è inoltre uno dei Paesi più pericolosi per i giornalisti: dal 2010 sono stati uccisi 75 cronisti, sei soltanto nel 2018. La maggior parte di loro, 21, sono morti nello Stato di Veracruz, sul Golfo del Messico. Una strage che finora resta senza colpevoli. L'ultima vittima, proprio a poche ore dall'apertura dei seggi, è stato un reporter nello Stato del Quintana Roo, freddato a colpi di pistola.
Classe 1953, primo di otto figli di una famiglia di umili origini, Amlo è alla sua terza candidatura presidenziale, dopo quelle, fallite, del 2006 e del 2012, che però non lo hanno distolto dalla passione politica. Il movimento popolare Morena - che attualmente non detiene il governo di nessuno degli Stati federali del Paese - e il suo leader anti-sistema hanno cavalcato l'onda del forte malcontento della popolazione nei confronti della corruzione dilagante - il Messico è tra i Paesi più corrotti al mondo, al 135° posto su 180 secondo Transparency international - e della violenza che dilaga in modo incontrollato nel Paese, legata alla guerra tra i cartelli del narcotraffico.
Altra sfida cruciale da affrontare: la delicata relazione con gli Stati Uniti e il tema della migrazione, in un momento particolarmente difficile a causa della politica di tolleranza zero attuata dall'amministrazione Usa, che ha provocato pessime conseguenze, come la separazione dei bambini dai genitori che entrano illegalmente negli Stati Uniti passando la frontiera con il Messico. A sottolineare la centralità del rapporto Messico-Usa un tweet di Donald Trump subito dopo i risultati elettorali: dopo aver rivolto le congratulazioni al nuovo presidente, l'inquilino della Casa Bianca ha scritto: "Non vedo l'ora di lavorare con lui. C'è tanto da fare e questo porterà benefici sia agli Stati Uniti che al Messico!".