Francesco Peduto
Che ci piaccia o no, dobbiamo cominciare a pensare ad una cultura di prevenzione. Perché la nostra penisola, per la sua posizione di confine tra le due placche - quella africana che spinge verso nord e quella euroasiatica - è tra i Paesi europei quello più vulnerabile. Ce lo spiega Francesco Peduto, presidente del Consiglio Nazionale dei Geologi: «Le zone di confine sono molto dinamiche dal punto di vista della crosta terrestre, pertanto sono a rischio sismico, vulcanico e geologico. Insomma, non ci facciamo mancare nulla».
Dottor Peduto, c'entra soltanto la natura, o c'è anche la mano dell'uomo?
«La mano dell'uomo c'entra molto, perché è vero che stiamo parlando di fenomeni naturali, ma è altrettanto vero che dobbiamo imparare a convivere con questi aspetti del nostro territorio, che è un territorio vivo, che si muove, si agita, fa sentire la sua presenza. Dobbiamo imparare a conoscerne le caratteristiche per poter poi agire di conseguenza. Tra l'altro, abbiamo poca memoria storica, perché siamo percorsi continuamente da eventi sismici - basta pensare all'Emilia, all'Aquila ... - non sono trascorsi molti anni, ma solitamente quando accade, ce ne dispiacciamo, facciamo un po' di can can per qualche giorno e poi dalla settimana successiva ce ne dimentichiamo, e niente prevenzione».
Proprio per quanto attiene alla prevenzione, c'è un problema di edifici - la Procura di Rieti ha già aperto un'inchiesta per disastro colposo in merito ai crolli di edifici ristrutturati recentemente - e c'è anche un deficit di addestramento della popolazione. Lei ha dichiarato che molti decessi avvengono per comportamenti sbagliati.
«Certo, però se il cittadino non è consapevole, la colpa non è sua, ma delle Istituzioni che non lo educano. È mai possibile che quando avviene un terremoto in Giappone, tutti sappiano esattamente che cosa devono fare? Vediamo nelle immagini alla tv, studenti che si nascondono sotto i banchi, oppure nei vani di porte inserite sotto muri portanti. Perché noi non lo insegniamo ai nostri cittadini? Bisogna prima far prendere consapevolezza dei rischi e poi insegnare i giusti comportamenti. Mi restano negli occhi quelle persone che quando ci fu l'alluvione a Genova sono entrate in un palazzo, ma invece di salire ai piani alti, si sono rifugiate nello scantinato e hanno fatto la fine del topo. Io da piccolo a scuola studiavo educazione civica. Il ministro dell'Ambiente Gian Luca Galletti ha dichiarato di voler introdurre nelle scuole l'educazione ambientale, e io penso che insieme sia prioritario e indispensabile insegnare ai bambini le problematiche e i rischi dei territori in cui vivono. Una maggior consapevolezza e una maggior coscienza insieme ad altre azioni di messa in sicurezza degli edifici possono portare ad una mitigazione del rischio sismico».
Prevenire si deve, prevedere non si può.
«Assolutamente no, sono talmente tante le variabili che entrano in gioco, che è proprio impossibile. Chi dice il contrario, è un ciarlatano».
Le sue stime sono di 24 milioni di italiani a rischio. Un numero elevatissimo.
«Sì, perché il rischio più elevato è lungo la dorsale appenninica, poi, man mano che dalla dorsale ci allontaniamo, sia verso la zona adriatica che quella tirrenica, le criticità tendono a diminuire, ma non a scomparire. L'Italia intera è ad alto rischio, proprio perché è un paese geologicamente giovane e di frontiera. Pertanto, non ci sono aree totalmente esenti».
La legislazione italiana è adeguata?
«In parte sì, ma si potrebbe fare meglio. Dopo il terremoto dell'Aquila, ci fu una stretta nella normativa antisismica, ma l'applicazione corretta è ancora appannaggio di poche regioni».
A chi dice che prevenire costa troppo, che cosa rispondiamo?
«Che hanno parzialmente ragione. Costa un bel po', ma non tantissimo. Quello che bisognerebbe mettere in atto è una vera e propria pianificazione, anche di qualche decennio. Innanzitutto, mettere in sicurezza gli edifici pubblici, a partire da quelli strategici. Non è possibile che - come è successo ad Amandola - un ospedale, che è un luogo strategico, non solo perché ospita dei malati, ma anche perché serve per i feriti dell'evento sismico -, venga invece evacuato perché a rischio. In Italia sono tantissimi gli edifici pubblici non a norma. Dunque, la messa in sicurezza di questi, ma anche il coinvolgimento del privato, con politiche di incentivazione, affinché i privati intervengano sulla propria casa, l'ufficio, l'azienda... Ecco perché noi portiamo avanti iniziative come quella dell'obbligo del fascicolo del fabbricato, che contenga tutti i dati importanti, quando è stato costruito, le ristrutturazioni effettuate, il certificato sismico. E questo dovrebbe influire anche sul valore economico dell'edificio: la casa dotata di certificato che ne attesta la sicurezza è giusto che valga di più. Se venisse fatto questo, si accenderebbe una lampadina negli italiani. Voglio vendere la mia casa? Prima la metto in sicurezza».
Come si fa con gli edifici più vecchi, con l'immenso patrimonio storico italiano?
«Probabilmente è più complicato, ma non impossibile. Lo ha dimostrato l'area di Norcia, che ha resistito, grazie agli interventi antisismici effettuati sugli edifici, a seguito dei due terremoti del 1979 e del 1997. Le case si sono lesionate ma sono rimaste in piedi e non ci sono state vittime. Questo significa che si può mettere in sicurezza anche l'edificato storico».