Possiamo da comuni cattolici, da fedeli qualunque, prendere
le difese del Vaticano e dell’istituzione? E’ più che giunto il momento di
farlo, proprio sulle pagine di una rivista come Famiglia Cristiana, da sempre
fiera della propria autonomia di giudizio.
Perché l’istituzione, come tutte le
istituzioni, è certamente fallibile nelle cose terrene, ma quanto si è detto e
scritto negli ultimi tempi si configura come una specie di “metodo Boffo”
applicato alla Chiesa. E questo nessun cattolico può permetterlo, né
permetterselo, perché la Chiesa è la casa e il patrimonio di tutti i fedeli.
L’ondata anticlericale è ormai di lungo periodo e si è
permessa tutto e il contrario di tutto. La campagna su “Chiesa e Ici”, per esempio, basata su
qualche spiacevole verità e su un cumulo di esagerazioni e menzogne, in nome di
un presunto privilegio che in realtà restituisce alla società e allo Stato
italiano benefici moltiplicati sotto forma di welfare alternativo. Un
privilegio (la tassazione non imponibile agli edifici non adibiti a fini
commerciali) che ha generato violente campagne di stampa quando
si è trattato di discutere della Chiesa cattolica ma che è passato nel silenzio
quando invece riguardava le Fondazioni bancarie, dotate in Italia di un
patrimonio complessivo pari a 50 miliardi. Enti stimabili, per carità, ma un
po’ meno cruciali di ospedali e asili.
Poi è toccato al “corvo” e ai documenti trafugati dalla
posta personale del Papa, uno scandalo diventato famoso con il nome di
Vatileaks. Anche in questo caso, ogni libertà è diventata lecita: anche quella
di presentare fogli sbianchettati e illeggibili e spacciarli come prove
inoppugnabili di una congiura tra cardinali. Negli stessi giorni, Benedetto XVI
visitava Milano accompagnato dal cardinale Bertone e accolto da un milione di
persone, cosa di cui si dava conto in qualche breve trafiletto o nelle cronache
delle pagine locali, tra le mostre e i resoconti del Municipio. Nessuno, oggi,
che abbia il coraggio di ammettere che di cardinali di cappa e spada non si
vede l’ombra, anzi: da quando sono partite le indagini della magistratura
vaticana, il flusso di documenti si è fermato. Sia di quelli veri, sia di
quelli inventati.
E poi il cardinale Bertone, che dichiara a Famiglia
Cristiana, in un’intervista esclusiva al direttore don Sciortino che ha fatto
il giro del mondo, di sentirsi “al centro della mischia”. Anche qui, non si
tratta di giudicarne (e magari criticarne) l’operato come segretario di Stato
ma di trasformarlo in una sorta di anima nera del Vaticano. Altro che il Dan
Brown ironicamente citato dallo stesso cardinale. Benedetto XVI lo porta con sé
a Milano, con un gesto almeno inconsueto che palesemente equivale a una
manifestazione di fiducia. Non importa, le pagine che lo vogliono cacciato,
dimissionario, presto sostituito sono già pronte per la stampa. E quando arriva
la lettera ufficiale di Benedetto XVI che (ancora una volta) lo riconferma
nell’incarico e nella considerazione (“… anche in futuro non vorrei rinunciare
a questa sua preziosa collaborazione”), c’è sempre il “metodo Repubblica” a
soccorrere: le paginate sulla cacciata in prima fila, la riconferma in quattro
righe a pagina 17.
Ma il meglio-peggio di sé questo giornalismo col pugnale
nella manica l’ha dato nel caso dello Ior e della procedura per l’ingresso del
Vaticano nella “lista bianca” di Moneyval, l’organismo del Consiglio d’Europa
incaricato di valutare la conformità dei diversi Paesi rispetto agli standard
internazionali per la lotta al riciclaggio e al finanziamento del terrorismo. Da
ieri sappiamo com’è finita: Moneyval ha adottato il rapporto della Santa Sede,
facendo così compiere alla questione un lungo passi in avanti. E lo ha fatto al
termine di una procedura durata un anno e non ancora conclusa ma scandita dalle
normali tappe di una trattativa che il
Vaticano ha iniziato di propria spontanea volontà, anche al costo di cambiare
(cosa che è stata fatta con un Motu Proprio del Papa e con la Legge 127) la propria
legislazione in materia.
Il Vaticano, sarà bene ricordarlo, è uno Stato sovrano. Non
è una “fetta” un po’ strana dell’Italia. Eppure, per mesi, complice l’improvvisa
sostituzione del presidente dello Ior Gotti Tedeschi, si è voluto a tutti i
costi dipingerlo come un reietto della comunità internazionale, inaffidabile e
sospetto, disperatamente impegnato a farsi rilasciare una qualche patente di
serietà e correttezza da Paesi buoni e giusti che lo tenevano ai margini.
Adesso c’è chi si inventa una inesistente “lista grigia” pur di non ammettere
di aver scaricato negli occhi dei lettori pagine e pagine di congetture
azzardate e speculazioni campate in
aria, che non hanno retto alla prova dei fatti.