Cara prof, sono la mamma di un bambino disabile che sta frequentando la terza elementare. Ha maestre e compagni meravigliosi che, nonostante le sue evidenti difficoltà, lo fanno sentire parte del gruppo.
Ma è il futuro a spaventarmi a fronte dei tanti, più o meno velati, attacchi alla scuola inclusiva e della nostalgia per una scuola che divida tra superdotati, normodotati e handicappati, per usare una parola che si sperava fosse superata, finalmente sostituita con disabilità!
EUGENIA
Risposta di Paola Spotorno
– Cara Eugenia, l’esperienza di tuo figlio alla scuola elementare per fortuna non è un’eccezione! Molti docenti delle nostre scuole, nonostante mille reali diffi coltà, lavorano affi nché l’inclusione non sia una chimera.
Insegnare a crescere nelle differenze e imparare a crescere nel rispetto dell’altro, questa è la sfi da. Una sfida che va difesa dagli attacchi di chi parla di fallimento dell’inclusione e spera che il futuro della scuola sia un ritorno alla severità e serietà del passato.
Vale solo la pena ricordare che in quel passato la scuola era per chi se la poteva permettere. Io credo, invece, che la visione di una scuola inclusiva, per disabilità, diversità e lingua, sia la migliore realizzazione di quell’uguaglianza sostanziale che i nostri padri costituenti con spirito visionario e lungimiranza avevano inserito, dopo non poche discussioni, nel secondo comma dell’art. 3 della Costituzione, lasciandoci in eredità il compito di rendere programmatiche quelle parole.
Questo non vuol dire che non ci siano problemi e tante sono le cose che andrebbero riviste a partire dal sostegno e dalla formazione dei docenti, ma rinunciare all’inclusione vorrebbe dire tradire la Costituzione! Come afferma il filosofo e psicanalista Miguel Benasayag, «a scuola nessuno è un errore perché se ciascuno è quello che è, e se si condivide che non esiste un solo modo di essere, nessuno è sbagliato».