Ci sono giorni in cui mia figlia Barbara di 15 anni sembra persa nel vuoto. Io credo che in vacanza si annoi. È vero che spesso esce con le amiche e gli amici o sta in camera sua ad ascoltare musica o guardare serie televisive. Ma ci sono dei pomeriggi strani in cui si trascina dal divano alla poltrona al letto. Accende e spegne la Tv, gira i canali a vuoto. È scontenta e nervosa, non trova pace. Io le dico di non stare lì ferma e di fare qualcosa, ma lei non mi ascolta, anzi, mi caccia via.
STEFANIA
— Si può restare stupiti nel vedere una ragazza così attiva che si ferma. Un tempo, momenti come questi erano guardati con sospetto e si cercava di evitare in tutti i modi l’ozio. Tuttavia credo che un adolescente non possa essere solo movimento, azione, vitalità. Anche queste fasi di stagnazione sono necessarie. Perché è nella pesantezza di questi momenti che possono nascere i pensieri. Per attivare la mente, occorre silenzio. Non soltanto il silenzio dei suoni esterni, ma anche quell’indefinito senso di mancanza che Stefania ha descritto così chiaramente. Per diventare grandi, in ogni età sono necessari questi tempi di vuoto. Nelle prime fasi della vita, è l’assenza temporanea della mamma che si prende cura del neonato e provoca in lui un pianto sconsolato che consente al bambino di formarsi un’immagine mentale della sua mamma, in sostituzione di quella reale che al momento non c’è. Crescendo, sono i momenti di noia del bambino che non sa che gioco fare, perché nessuno lo soddisfa, che attivano in lui i primi processi creativi. Così gli oggetti di tutti i giorni si trasformano in fantastici prodotti della sua fantasia e gli danno la possibilità di sperimentare nuove emozioni. Qualche anno dopo, è il senso di vuoto dell’adolescente, che è indeciso su cosa fare o con chi uscire che può favorire in lui la riflessione e un ascolto più attento delle sue istanze profonde. Perché pensare è un’attività difficile, che nasce solo a determinate condizioni. La mente si attiva quando le cose concrete di tutti i giorni non bastano più. Bisogna riempire questo vuoto con oggetti di altra natura, ma non meno reali di quelli materiali. Sono pensieri, riflessioni, desideri, aspettative, e anche timori e preoccupazioni. Da quel senso di mancanza, a un certo punto, possono nascere anche le domande più difficili: quelle relative al senso del nostro esistere e delle nostre azioni. Provare a dare delle risposte, provvisorie e incerte, è il vero segnale della maturità. Sta a noi adulti riconoscere e rispettare questi processi preziosi, senza spaventarci del silenzio e dell’insoddisfazione che percepiamo nei nostri figli.