Caro padre, sono moglie e madre, e 15 anni fa ho abortito. Non mi dilungo sul perché: non posso dire nulla a mia discolpa. Ho sbagliato, e da allora non passa giorno senza che il ricordo di questo bambino mai nato mi tormenti. Dopo i primi momenti di sollievo per non avere una bocca in più da sfamare, sono subentrati i sensi di colpa, il dolore quasi fisico per quello che avevo fatto, lo choc psicologico che mi toglieva lucidità e capacità di guardare negli occhi i figli che già avevo. È stata una scelta mia. E solo mia è la colpa, che dovrò scontare fino a quando avrò gli occhi aperti.
Dopo un lungo periodo di sconforto, quando la mia coscienza urlava di disperazione, ho chiesto aiuto a un sacerdote, non della mia parrocchia, perché mi vergognavo troppo. Mi ha ascoltata, ha raccolto la mia confessione e le mie lacrime, mi ha incoraggiata e, attraverso i poteri conferitigli da Dio, mi ha concesso il perdono. Ho potuto così, dopo anni, fare la Comunione. E con Gesù nel cuore, ho davvero sentito che lui mi aveva perdonata.
Ma io non riesco a perdonare me stessa. Si dice che a tutto c’è rimedio, ma quando tu togli la vita a qualcuno, come puoi rimediare? Quando mia figlia, ventenne, guardando un servizio in Tv sull’aborto, se n’è uscita con questa affermazione: «Ma quanto can can fanno questi antiabortisti... se una donna non vuole quel figlio, lasciatela libera, no!?», mi sono sentita morire per l’ennesima volta. Avrei voluto urlarle tutto il dolore e l’angoscia, che ancora non mi abbandonano, per farle capire che questa “libertà” la si paga, prima o poi la devi scontare, e non sai che ti rende schiava per sempre.
Ma non potevo farlo. Con il cuore e le viscere in subbuglio, ho cercato di farle capire che a ogni azione corrisponde sempre una conseguenza; e che prima di decidere di fare una cosa così grande, bisogna essere consapevoli che c’è poi da convivere con questa decisione. Non sono riuscita a dirle altro, perché la mia coscienza mi diceva: «Senti da che pulpito viene la predica!».
Una mamma in pena
Cara “mamma in pena”, nel tuo scritto è possibile individuare due problemi, legati a una stessa sofferta esperienza, e che devono essere analizzati separatamente. Iniziamo dal primo.
Il dramma dell’aborto è ancora vivo in te, e neanche il perdono del Signore, tanto “cercato e desiderato”, ti rasserena. Credo che per te sia importante ripensare al perdono del Signore come a un abbraccio che ti consola, ti accoglie nonostante gli sbagli, per quanto gravi possano essere. Spesso la nostra coscienza rimane imprigionata nel dolore degli errori commessi e questo ci impedisce di vivere profondamente e con il necessario pentimento il perdono del Signore.
Mi sembra che in situazioni come la tua, sia necessario lavorare sulla tua persona, per portare il peso del proprio errore senza lasciarsene schiacciare. È indubbio che certi sbagli lasciano un segno indelebile, una cicatrice che pare non rimarginarsi mai. Ma nell’abbraccio del Signore possiamo vivere tutto quello che è avvenuto nella nostra vita, senza che ci distrugga, perché chi ci abbraccia è il Dio della vita e non della morte, è il Dio che non vuole che l’uomo sia schiacciato dal suo peccato. Con lui si vive tutto quello che è avvenuto, sapendo che l’errore non viene cancellato, ma viene portato insieme.
Allora le conseguenze psicologiche che un fatto come l’aborto lasciano nella persona non sono più considerate come una punizione o un prezzo da pagare, ma come una sofferenza che viene portata insieme al Cristo, per creare un vero pentimento ed essere da lui salvati. Solo così riuscirai a ritrovare la serenità e a perdonare te stessa.
In secondo luogo, immagino quanto sia stato difficile per te sentire i commenti di tua figlia riguardo all’aborto, e alla superficialità con cui, spesso, i mass media trattano questo problema, per lo più banalizzandolo. Il consiglio che vorrei suggerirti è di concentrare la tua attenzione non sulla conseguenza della tua scelta, ma sul valore e le priorità che stanno dietro ogni decisione.
Questo sicuramente significa per te una fatica emotiva che ti riporta al tuo gesto e al tuo dolore, ma credo sia l’approccio migliore per aiutare tua figlia. Che, come i ragazzi e le ragazze della sua età, su questioni delicate come l’aborto (ma anche l’eutanasia o il testamento biologico), subiscono l’influsso della società e della mentalità corrente, che semplificano eccessivamente temi molto delicati e di vitale importanza. Tutto viene affrontato con una superficialità che fa paura, per loro la vita è come fosse un gioco. Il problema non è, in prima battuta, sapere che a «ogni azione corrisponde sempre una conseguenza», come dici tu, ma comprendere quale valore, quale priorità sta dietro alla scelta che abbiamo fatto.
Quale motivo ti ha indotto ad abortire? Era una ragione superiore al rispetto per la vita? Bisogna spostare l’attenzione dal male compiuto al valore della vita e all’uso della propria libertà in queste scelte. Capisco quanto per te possa essere difficile gestire la frase con cui concludi la lettera: «Senti da che pulpito...». Ma, forse, anche questo è uno scoglio da superare per non lasciarsi schiacciare dalle scelte passate. Tu conosci e vivi oggi le conseguenze di una scelta sbagliata e del dramma che ti accompagna, ma tua figlia ha bisogno che le venga insegnato che una vita che nasce è una gioia, una sfida, e che negare con un aborto questa esistenza non è espressione di libertà, ma negazione di sé stesse.