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venerdì 22 settembre 2023
 
Scuola
 

Mia figlia ha l'età per firmare le giustificazioni: c'è da preoccuparsi?

19/04/2017  A 18 anni gli studenti possono decidere se stare a casa da scuola quando lo ritengono necessario. Spesso lo fanno per studiare. Ed essendo maggiorenni non hanno più bisogno della firma dei genitori per giustificare l'assenza. Come giudicano gli insegnanti questo comportamento?

Cara prof, ho una figlia che frequenta l’ultimo anno di liceo scientifico. A scuola se la cava ed è diligente. Il problema è che avendo ormai compiuto 18 anni non devo più firmarle le giustificazioni. E lei, senza più chiedermi il permesso, ogni tanto decide di restare a casa a studiare (per la scuola o per i test dell’università) e salta le lezioni. Io le dico che forse fa troppe assenze e lei risponde che la situazione è sotto controllo e che tutti i suoi compagni maggiorenni fanno lo stesso. In effetti ha tutte le materie sufficienti e un giorno ho incontrato la sua insegnante di Italiano e non mi ha segnalato nessun problema da questo punto di vista. Ma i professori cosa pensano di questo comportamento? Non rischia di mettersi in cattiva luce?

MARINA

— Cara Marina, varcare la soglia dei diciotto anni è un sogno realizzato: la patente, la possibilità di votare, ma soprattutto, inutile negarlo, le giustificazioni scolastiche da firmare in totale autonomia, senza essere obbligati a chiedere il consenso a mamma e papà. Questo genera non poche ansie nei genitori, perché spesso ci rendiamo conto che il traguardo anagrafico non è il punto di approdo di un percorso ma una linea di partenza un po’ malferma: chi a casa chiede ancora i soldi per la merenda, può negare per iscritto la possibilità di far arrivare alla famiglia le comunicazioni scolastiche. Nel tuo caso hai una figlia diligente, che non ha insufficienze. Ti chiede di restare a casa a studiare. Molte madri, anche severe, sono tolleranti nei confronti di ragazzi che in sostanza, a loro modo, starebbero sperimentando un anno prima l’organizzazione universitaria e personale del lavoro. Il problema, però, non è legato all’opinione del professore, al mettersi in cattiva luce. Al di qua della cattedra le difficoltà sono due. Una di natura pratica: se mancano tanti ragazzi a volte si evita di spiegare cose nuove oppure, se lo si fa, si è consapevoli che l’assente dovrà poi ricuperare con un po’ di fatica in più. Insomma, la classe è un gruppo, funziona se ci siamo tutti. La seconda, invece, è di ordine educativo: la scuola non è fine a sé stessa, prepara alla vita. Uno dei traguardi che si pone è insegnare agli alunni a tenere tutto insieme: l’interrogazione, la presenza in classe, lo studio a casa, le proprie passioni e attività extrascolastiche, il fidanzato... Un’università fatta bene e nei tempi, che può avere l’obbligo di frequenza, ha alla base una buona organizzazione. Perdere le lezioni per studiare, al liceo, è una caduta momentanea dovuta a una non ancora efficace gestione, come tale va fatta vedere al ragazzo e a volte anche compresa. Non è un allenamento al dopo, non è senz’altro maturità e, soprattutto, non dovrebbe mai diventare prassi.

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