Mia fi glia frequenta con profitto la prima elementare, anche se il passaggio dalla scuola materna alle elementari non è stato “indolore” e ha comportato in tutta la famiglia un notevole stress. Da qualche settimana, mi sono accorta che, nel suo zaino, c’è sempre qualche oggetto “sottratto” ai suo compagni. Si tratta di cose di poco conto: una penna, una gomma da cancellare, un colore… Tuttavia, siccome la situazione sta diventando ricorrente, vorrei capire quando devo allarmarmi e, soprattutto, come spiegare a mia figlia che non è corretta la sottrazione, anche se inconsapevole, della cancelleria dei compagni.
LUCIA CAPUOZZO,
NAPOLI
Cara Lucia, il mio primo compito è quello di rassicurarla. Lei osserva questo “inaspettato” comportamento di sua figlia, alle prese con l’inizio di un nuovo percorso scolastico, e probabilmente ha preferito evitare di confrontarsi con altre mamme per comprendere se è altrettanto presente in altri bambini.
In qualità di esperto posso dirle che a fasi alterne questa condotta può riguardare almeno un terzo dei bambini della classe di sua figlia. Queste sottrazioni non vanno però confuse con il furto che è uno dei comportamenti espressi da preadolescenti e adolescenti che manifestano disturbi della condotta: in rari casi li osserviamo in bambini tra gli otto e i dieci anni, più frequentemente riscontriamo questo quadro di interesse clinico dopo i dieci anni. Inoltre per avere una rilevanza in senso patologico, il furto non deve essere una condotta isolata da altri comportamenti che si oppongono alle regole sociali; viene commesso in percentuale maggiore dai maschi rispetto alle femmine ed è l’alterazione del comportamento più frequente in adolescenza, rappresentando il 70 per cento circa delle condotte trasgressive adolescianziali. Ma per poter parlare di un disturbo della condotta è necessario che il bambino abbia acquisito il concetto di “proprietà” e i principi morali ossia la differenza tra “bene” e “male”.
A sei anni sua figlia è ancora molto egocentrica, riesce a leggere le proprie esperienze utilizzando unicamente il proprio punto di vista, è consapevole di cosa significhi mio e da poco ha iniziato a percepire la nozione di tuo e altrui. Uno degli autori fondamentali della psicologia dello sviluppo, Jean Piaget, psicologo e pedagogista svizzero della prima metà del ’900, i cui studi sulle tappe evolutive del bambino sono ancora oggi molto attuali, sosteneva che si può parlare di vero e proprio sviluppo morale solo dopo gli otto anni d’età. Nella sua teoria ha distinto due forme di moralità: il realismo morale e il relativismo morale. La prima forma, il realismo morale, è presente fino agli otto anni ed è caratterizzato da una prospettiva egocentrica del mondo. I principi che il bambino applica alle proprie condotte in questo arco temporale sono determinati da un’autorità esterna, ossia dai genitori e la loro validità dipende dalla capacità di questi ultimi di far rispettare tali principi attraverso il premio e la punizione. Invece, nella forma successiva, dopo gli otto anni, i principi morali divengono autonomi rispetto all’autorità, vengono internalizzati. Quindi nel bambino in cui prevale il realismo morale, il furto di una matita è considerato un comportamento “cattivo” perché può comportare una punizione.
Intorno agli otto anni per quello stesso bambino il furto di una matita diventa qualcosa di cattivo di per sé, anche in assenza di punizioni, quindi la regola è stata internalizzata. Dunque senza superflui allarmismi, è bene affrontare l’argomento è spiegare alla bambina, il cui comportamento dipende ancora molto dalle indicazioni dei genitori, che la sottrazione di questi oggetti è un’azione disonesta e che procura dispiacere negli altri bambini; evitare giudizi e stigmatizzazioni umilianti; mai rimproverarla in pubblico; darle la possibilità di riparare alla “cattiva” azione, invogliandola o accompagnandola a restituire l’oggetto sottratto; chiarire nuovamente le regole e accertarsi che le abbia comprese; evitare di fronte a questi episodi di pensare che in qualità di genitore si stia sbagliando qualcosa: i sensi di colpa non aiutano a capire che il piccolo fa il bambino e che il genitore, senza inutili delusioni, continuerà a esercitare il proprio compito educativo. Ma soprattutto non dimentichiamo di ascoltare il nostro bambino e di provare a vedere il mondo attraverso i suoi occhi: come sosteneva il poeta inglese William Wordsworth, il suo animo è puro e non ancora corrotto dai difetti della società.
IL LIBRO
Suggerisco la lettura di questo libro: Il mio psicologo si chiama Gesù (Edizioni San Paolo, 108 pagg., 9,50 euro). Un volume che attira l’attenzione a partire da alcune affermazioni dell’autore: «Non ho scritto questo libro né da psicologo né da teologo, essendo un semplice giornalista… l’ho scritto come uno di voi, in mezzo a voi, in cammino, quanto voi, verso la meta… Sono un peccatore che cerca di spiegare a se stesso, e agli altri, in che modo ci si può realizzare quotidianamente…». Carlo Nesti, noto giornalista sportivo, telecronista appassionato, è anche uno che sa fare silenzio, raccogliersi in se stesso e pregare. Per meglio riuscire in questo intento, ha studiato – da autodidatta – la Bibbia, il libro più letto in ogni tempo, e ha tracciato un’ideale “caccia al tesoro”, le cui tappe sono scandite dalle domande che tutti ci poniamo sul senso della vita.