Simona Atzori al "Fuori posto, festival di teatri al limite". Foto di Fausto Podavini (anche sopra).
A guardarla danzare si rimane incantati dalla grazia e dalla scioltezza dei suoi movimenti. Mentre parla, inoltre, non si può fare a meno di essere investiti dall’ondata di dolcezza che traspare dai suoi occhi. È Simona Atzori, la ballerina senza braccia, che volteggia elegante come una colomba, e la cui mancanza di ali non le impedisce di volare sopra i limiti di chi la guarda e con cui, ogni giorno, si confronta.
Si è esibita sui palcoscenici di tutto il mondo insieme con le più grandi etoile della danza classica, portando un messaggio di pace e non violenza attraverso la sua arte senza confini. Simona è stata anche Ambasciatrice per la danza nel Giubileo del 2000 e ha ballato in chiesa, per la prima volta nella storia, nella coreografia Amen, di Paolo Londi. Tra gli ultimi lavori, la partecipazione a Roma alla seconda edizione di Fuori posto, festival di teatri al limite che ha proposto teatro, danza e danceability, musica, allestimenti artistici, mostre fotografiche, workshop, storie che fanno la “differenza” attraverso esibizioni di artisti disabili.
«Devo molto ai miei genitori. Se loro avessero pensato che senza braccia non si può vivere io oggi non avrei una vita», commenta Simona. «Invece mi hanno aiutata a capire quali erano i miei desideri e a come realizzarli, facendomi bastare quello che avevo. Se ce l’ho fatta io, possono farcela tutti».
Proprio a sua madre, scomparsa un anno e mezzo fa, è dedicato il suo secondo libro, Dopo di te (Mondadori, 156 pagine, 17 euro) appena uscito in libreria. Dalla sua malattia e dal dolore per la perdita della madre, Simona ha saputo trarre l’energia per rispondere a una delle maggiori preoccupazioni dei genitori: «Cosa ne sarà di mio figlio dopo di me? Chi lo proteggerà?», e per trarre dalla separazione da mamma Tonina l’insegnamento per affrontare il distacco e continuare a vivere.
Com’era tua madre?
«Era gioia pura. Era una donna che amava la vita e lo esprimeva a tutti, indipendentemente dalle circostanze, si trattasse di una persona incontrata per strada o qualcuno a cui voleva bene. Aveva la capacità di donarsi e vivere intensamente ogni istante, come fosse il primo o l’ultimo della sua vita. Questo libro è un omaggio a lei, è il mio modo per dirle grazie di essere stata una mamma così straordinaria».
La senti ancora molto vicina?
«Questa è la cosa per me incredibile, che non riuscivo a comprendere prima che mi succedesse. All’inizio pensavo che mia madre non ci fosse più e basta. Poi, piano piano, ho capito che dovevo essere io a cercarla in altre forme. Allora mi sono impegnata a trovare la bellezza nel dolore della perdita e a farne un concetto. È nato così Dopo di te, che significa anche “assieme a te”, semplicemente in modo diverso. E ora la sento vicina, perché siamo state talmente tanto l’una parte dell’altra che il distacco fisico non ci può separare».
Nel libro scrivi che hai trovato un nuovo modo di esistere e glielo hai voluto dimostrare…
«Nei mesi in cui mia madre ha vissuto la malattia ho capito quanto avesse fatto di tutto affinché non smettessi di credere in me, nella nostra vita, nella danza, nella cultura e nelle cose che abbiamo costruito assieme. La sua determinazione mi ha fatto capire che dovevo andare avanti per far sì che tutto quello in cui avevamo creduto potesse continuare anche dopo di lei. Come il sole che sorge e poi tramonta per poi sorgere ancora, mia madre mi ha dato la fiducia di credere che la vita non si ferma mai, né con la malattia né con la morte, né con le difficoltà. Questa è stata la sua vera forza. Il libro racconta di come la malattia, anziché la fine della sua vita, ha significato un nuovo inizio».
Qual è stato il suo più grande insegnamento?
«Insieme con mio padre mi ha insegnato a valorizzare ciò che avevo, invece di concentrarmi su quello che mi mancava. In questo modo ho scoperto tante cose che non avrei potuto trovare se avessi visto solo il bicchiere mezzo vuoto. Credo che il segreto della felicità consista in questo. Ma spesso diamo alla felicità una connotazione enorme, tanto da pensare che sia irraggiungibile. In realtà, qualsiasi cosa può donarci un istante di felicità: un sorriso, un abbraccio, un gelato con un amico. Non serve prefissarsi traguardi ma, considerandola una ricerca costante, potremmo provarla in qualsiasi momento».
È questo che comunichi durante i tuoi corsi motivazionali?
«Sì. Lo scopo è di aiutare a far riflettere le persone sulle risorse che abbiamo attraverso la mia esperienza personale».
C’è un desiderio che vorresti vedere realizzato?
«Il più grande è quello di continuare a vivere la mia vita così, con lo spirito della meraviglia che ho adesso. E di non chiedermi mai come sarà il mio domani».