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sabato 07 settembre 2024
 
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Migranti, gli occhi della Libia sui radar europei nel Mediterraneo

17/03/2018  A dicembre 2016 un ufficiale di collegamento della guardia costiera libica è entrato nel cuore del Sea Horse Mediterranean Network, il sistema di monitoraggio dell’Unione per il controllo delle frontiere Sud del Mediterraneo e che vede in prima linea l’Italia. Ma il governo libico era ritenuto inaffidabile dalla Commissione Ue nel 2015 ed escluso dal progetto. Ora perché è coinvolto? E a quale titolo?

Occhi elettronici. Radar potenti e sofisticati. Satelliti militari in grado di scansionare ogni centimetro quadrato del Mediterraneo centrale, quel pezzo di mare tra la Libia e l’Italia divenuto tomba per migliaia di migranti, morti mentre cercavano di fuggire alle guerre dei loro paesi e alle torture dei carcerieri libici. Mezzi straordinariamente potenti, soprattutto se messi in rete, formando un flusso di dati in grado di salvare vite – avvistando ogni piccolo gommone che tenta la traversata – e di bloccare i traffici. Non solo di esseri umani, ma anche di petrolio, droga, armi. Si chiama Sea Horse Mediterranean Network ed è l’asset più prezioso della rete di controllo della frontiera sud dell’Europa.

Un progetto costato milioni di euro, promosso direttamente dall’Unione europea e che vede un ruolo da protagonista dell’Italia. Una rete che – stando a documenti consultati da Famiglia Cristiana – potrebbe però cadere in pessime mani. Quelle delle milizie libiche, ovvero le forze di Tripoli che compongono quella stessa Guardia costiera pronta ad usare le armi contro le Ong, accusata un anno fa dalle Nazioni Unite di essere stata complice in alcuni casi degli stessi trafficanti. Il progetto in origine riguardava l’area dell’Atlantico. La responsabilità, in quel caso, era stata affidata alla Guardia Civil spagnola e l’area interessata era sostanzialmente il tratto di mare a sud delle Canarie, una delle rotte delle migrazioni via mare attive fino a una decina di anni fa. Il sistema permette di «scambiare informazioni via satellite per combattere l’immigrazione irregolare via mare», si legge in un documento delle autorità spagnole che abbiamo consultato, creando dei punti di contatto in ogni paese coinvolto «per accedere a questa rete sicura».

Le informazioni raccolte sono estremamente sensibili e costituiscono una base di conoscenza e di intelligence sicuramente strategica. Dopo l’avvio di una prima fase sulla zona atlantica, il progetto Sea Horse punta, dal 2015, al Mediterraneo. Tre i paesi del nord Africa coinvolti: l’Egitto, la Tunisia e la Libia. Nel novembre del 2015 il commissario europeo Dimitris Avramopoulos aveva risposto ad una interrogazione delle deputate europee Sabine Lösing e Cornelia Ernst (GUE/NGL), spiegando che il progetto era in una fase di stallo. Il problema principale riguardava proprio la Libia: «A causa della situazione d’insicurezza e alla mancanza di stabilità del governo nazionale libico – si legge nella risposta all’interrogazione pubblicata sul sito del Parlamento europeo – tutte le attività per installare il National Contact Point in Libia sono sospese. Di conseguenza le autorità libiche interessate non sono collegate al Mebocc, che sarà ospitato dal centro di coordinamento italiano per la sorveglianza delle frontiere».

La sigla Mebocc sta per Mediterranean Border Cooperation Center, ed è il cuore della rete di controllo del mare tra Italia e Libia. La collocazione di questo centro, come ha spiegato il commissario europeo, è prevista nel nostro paese, con un backup a Malta. Tutto, però, sembrava fermo fino al novembre del 2015.

Un ufficiale di collegamento libico era presente nel cuore della rete europea di sorveglianza delle frontiere marittime

Alla fine del 2016, dopo il cambio ai vertici del ministero dell’Interno e l’arrivo di Marco Minniti, il progetto ha subito un’accelerazione. Nella “Relazione sulla performance per il 2016” del Viminale c’è un paragrafo dove si annuncia l’operatività del progetto: «L’infrastruttura satellitare», si legge nel documento, «è stata installata nel Centro Interforze di Gestione e Controllo (CIGC) SICRAL di Vigna di Valle, teleporto principale del Ministero della Difesa, mentre presso il Centro Nazionale di Coordinamento per l’immigrazione “Roberto Iavarone” – EUROSUR, sede del MEBOCC, sono stati installati gli altri apparati funzionali alla rete di comunicazione. Al 31 dicembre 2016, quello dell’Italia risultava essere l'unico nodo realmente attivo e pronto per le comunicazioni».

Tutto pronto, dunque, per operare. Pronto e operativo, a quanto sembra, era anche il governo libico, che solo un anno prima veniva definito instabile dalla Commissione europea. Si legge nel rapporto del Ministero dell’Interno, documento che Famiglia Cristiana ha consultato: «Si segnala inoltre che nel 2016, nell’ambito del progetto Sea Horse Mediterranean Network, quattro ufficiali della Guardia Costiera – Marina Militare Libica sono stati ospitati in Italia, in qualità di osservatori, uno presso l’ICC-International Coordination Center, altri due imbarcati sull’assetto spagnolo “Rio Segura” durante il mese di settembre e uno presso il Centro nazionale di coordinamento – EUROSUR della Direzione Centrale per l’Immigrazione dal 5 al 9 dicembre, con funzioni di collegamento con le autorità libiche e per migliorare/stimolare la cooperazione nella gestione degli eventi di immigrazione irregolare provenienti dalla Libia».

Dunque un ufficiale di collegamento libico era presente nel cuore della rete europea di sorveglianza delle frontiere marittime del Mediterraneo poco più di un anno fa. Fatto che potrebbe avere come conseguenza la possibilità di accesso al sistema Sea Horse da parte del governo di Tripoli, impegnato, come abbiamo visto, nel respingimento in mare dei migranti che fuggono dal Nord Africa verso l’Europa. La sensibilità delle informazioni che il network raccoglie e gestisce è evidente. Un mese fa è stata presentata una seconda interrogazione al Parlamento europeo per capire se i libici già sono in grado di accedere ai dati dei satelliti che monitorano il Mediterraneo: «Dove, in Libia o in Italia, sono stati realizzati i Centri Operativi (ad esempio il Mebocc) e quali autorità o milizie sono coinvolte?», hanno chiesto i deputati Sabine Lösing e Cornelia Ernst. Al momento non hanno ottenuto nessuna risposta. La Libia è sempre più vicina.

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