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martedì 20 maggio 2025
 
la storia
 

Se sono i turisti di Lampedusa a soccorrere i migranti in mare

28/09/2024  Le persone in vacanza che sono intervenute al largo dell’isola hanno aiutato i naufraghi e, al contempo, documentato quello che accade quasi ogni giorno nel Canale di Sicilia offrendo così una chiave di lettura: «Perché solo se lo vedi puoi veramente capire», la loro testimonianza

Ci volevano dei turisti in vacanza a Lampedusa per documentare l’ultima tragedia del mare dove secondo le testimonianze dei due equipaggi Maria Sole e Giamaica due persone avrebbero perso la vita.

Nebel, Mina, Elena, Danila, Ezio, turisti provenienti da ogni parte d’Italia che per la prima volta mettevano piede nell’isola dove le leggende del luogo narrano anche che ci siano le sirene. Perché è qui più che altrove il mare è azzurrato, privo di una qualsiasi forma di inquinamento marino e atmosferico e le tartarughe caretta caretta vengono puntualmente a fine agosto a deporre le loro uova.

Le agenzie di viaggi che avevano illustrato la vacanza ai turisti dell’hotel Sole avevano assicurato: «Non ci sarà nessun problema». E infatti come ha ripetuto la signora Mina Nava, di Zanica, provincia di Bergamo: «Problemi non ce ne sono stati, solo che ci siamo accorti di tutta la cattiveria dell’uomo del nostro tempo».

Così i turisti diventano eroi, pescatori di vite umane, ancora una volta come accaduto a Vito Fiorino o a Costantino Baratta il 3 ottobre del 2013 dove morirono 368 persone.

I turisti salvano e allo stesso tempo documentano offrendo così una chiave di lettura: «perché solo se lo vedi puoi veramente capire». Ed ecco che non appena cominciata la gita si vede il barchino in ferro dove una donna agita sollevandolo con le braccia un neonato per lanciare una richiesta d’aiuto, nel frattempo un giovane getta l’acqua dal barchino che sta ormai per affondare con un secchiello di quelli che userebbero i nostri figli in spiaggia. Ma il barchino della morte è instabile e va giù rapidamente.

I due capitani Franco Ruggiero e Piero Costanza mettono in sicurezza gli ospiti, gli dicono in andare sotto coperta, ma loro partecipano ai soccorsi, nascondendo le lacrime e dando una carezza a quei bambini che tremano come foglie. Dal dolore, dalla paura. Nonostante siano riusciti a salvarli quasi tutti il rimpianto è per coloro che dicono non sono riusciti a salvare.

Un bambino e un ragazzino di circa 10 anni che fino all’ultimo ha lottato per aggrapparsi a una ciambella. Non riuscendoci perché chi affronta la traversata del Mediterraneo a Lampedusa arriva stremato, senza forze. E generalmente si muore prima perché in quei barchini di ferro arrugginito non c’è acqua da bere, in inverno i bambini muoiono di ipotermia, dal freddo.

Al molo Favaloro le donne continuano a piangere i propri figli morti nel naufragio. Le due imbarcazioni turistiche si trasformano così in assetti di soccorso in un Mediterraneo dove le navi delle Ong vengono spesso ostacolate dalle autorità italiane con fermi amministrativi che per settimane le tengono ben lontane dalle zone di ricerca e soccorso dove c’è urgente bisogno di intervenire.

A provvedere sono stati turisti di Zanica, Meda, Bologna, Torino che in quel mare non hanno incontrato le sirene né contemplato le bellezze di baie baciate dal sole. Piuttosto hanno avuto la possibilità di donarsi, aprendo braccia e cuore, testimoniando il dramma umano del nostro tempo che vuole sempre essere sottaciuto.

Perché c’è sempre un accordo politico che può ridurre arrivi e partenze. “Dove sei fratello mio? Perché non chiedi notizie di me, non sono forse tuo fratello”, scriveva nelle sue poesie il giovane migrante eritreo Tesfalidet Tesfom morto a Pozzallo il 12 marzo 2018. Ancora una volta siamo noi a non trovare la risposta.

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