Don Virginio Colmegna.
Misericordia all’opera: è il titolo del nuovo libro di don Virginio Colmegna, ma è anche il riassunto di undici anni di “Vangelo vissuto” nella sua Casa della carità, pensata con il cardinal Martini nell’estrema periferia Nord di Milano, nella zona con il più alto tasso di stranieri. Il testo, pubblicato da In Dialogo, accompagna la riflessione dell’Anno giubilare, alternando alcuni interventi di Colmegna, pronunciati in occasioni pubbliche molto diverse, alle storie incontrate nell’ex scuola abbandonata che è stata trasformata nella Casa della carità.
Ci sono gli uomini e le donne che hanno bisogno di una doccia calda e arrivano con i segni della strada, i profughi in transito da Milano, gli anziani del quartiere e i malati psichiatrici. La misericordia di don Virginio è quella dei volti: «L’ultimo – ci dice – è quello di una madre italiana con tre figli, sfrattata la scorsa settimana perché versava l’affitto a un “proprietario” che a sua volta aveva smesso di pagare il mutuo». E poi c’è quello di Paolo, «o almeno così noi l’avevamo chiamato», un giovane senza fissa dimora del centro di Milano, quello dell’anziano marocchino arrivato in Italia nel 1971 per lavorare nei circhi, del detenuto che esce per la prima volta dal carcere dopo 22 anni e non sa come funziona l’euro. E il volto di Santina, anziana del quartiere, che sceglie di festeggiare i 100 anni nella struttura guidata da don Virginio e vuole un regalo di compleanno speciale: chiede che il figlio accetti di affittare un piccolo appartamento di cui dispone alla famiglia rom che lei ha conosciuto in Casa della carità. Vuole veder sorridere soprattutto i loro bambini, che hanno giocato con lei e l’hanno fatta sentire accolta.
La Casa della carità, nella periferia Nord di Milano.
«È così – commenta Colmegna – l’accoglienza praticata senza retorica:
misteriosa e contagiosa, segno di quanto profondamente tutti
desideriamo abbattere le barriere che ci dividono e sentirci fratelli
sul serio». Dal libro emerge una profonda dimensione contemplativa,
vissuta nello scoprire che «l’accoglienza è un dono», come lo è «il
bussare, a tratti travolgente, delle tante domande della città» che
arrivano a questa porta della periferia milanese. «Sono debitore – dice
don Virginio – dell’accoglienza, che mi ha permesso di riscoprire la
freschezza del Vangelo». È l’opzione della Chiesa per i poveri, di cui
parla Bergoglio nell’Evangelii Gaudium come «categoria teologica prima che culturale, sociologica, politica e filosofica».
Continua Colmegna: «È una scelta di vita che deve affascinare, a cui
ci si deve educare, che ha la misericordia come nucleo dell’amore
divino, perché, dice Dio attraverso le parole del profeta Osea, “voglio
l’amore e non il sacrificio”». E la misericordia è, appunto, il filo
conduttore del libro: «Nella Bibbia ci è consegnata in compagnia di
tenerezza, amicizia e carità, e nell’esperienza di Casa della carità
essa sostiene il quotidiano sforzo di giustizia, cura e solidarietà. Con
misericordia – che in ebraico si dice éleos, da cui deriva il termine
“elemosina” – si indica quella disposizione interiore ad amare che si
decide per azioni concrete di servizio, di aiuto e di perdono. L’amore
misericordioso prende a cuore l’altro e prende in carico fattivamente la
sua situazione di bisogno».
La copertina del nuovo libro di don Virginio Colmegna.
«Mi entusiasmo – scrive Colmegna – quando avverto tutto il potenziale di
essere una Chiesa chiamata a lenire le ferite, a fasciarle con la
misericordia e a curarle con la solidarietà e l’attenzione». A Milano la “Chiesa in uscita” di Papa Francesco era stata intuita da un altro grande gesuita, Carlo Maria Martini. La
Casa della carità è l’ultimo progetto che ha avviato nella diocesi in
qualità di Arcivescovo, invitando a viverlo in tutta la sua portata
simbolica e concreta al tempo stesso. Papa Francesco ha di recente
criticato chi denigra la carità come fosse una «parolaccia» e don
Virginio non nasconde i suoi dubbi di undici fa quando occorreva
scegliere il nome della struttura. «Una sera – ricorda – dissi a
Martini: “Eminenza, la parola carità la scambiano per elemosina”. Lui
rispose: “No, la parola carità va ripulita dal linguaggio
assistenzialistico, è capace di fondarsi sulla giustizia, ma spazia su
quell’oltre dell’attesa che ha dentro non la categoria dell’utilità, ma
la categoria dell’impossibile, del nuovo che viene».
Per il sacerdote la misericordia deve evitare derive intimistiche,
aprendosi invece al valore della responsabilità collettiva, della
ricerca culturale comune, della felicità urbana e della convivenza
pacifica. «Spesso – dice – invitiamo alla spiritualità e alla
preghiera, ma non nel senso di una fuga per staccarci dal mondo in cui
siamo, piuttosto a vivere impastati nella storia, a pensare il
cristianesimo come incarnazione e come ricerca dei crocifissi nella
città». Cita due figure spirituali: «Charles de Foucauld, di cui
quest’anno è il centenario della nascita, che ha testimoniato lo stare
dentro la storia anche in un’apparente assenza di risultati concreti, e
Maria che “serbava tutte queste cose meditandole nel suo cuore”. Alla
sera, quando prego, cerco di custodire la Parola nascosta nei volti che
hanno bussato alla casa, ispirandomi alla spiritualità sofferta e al
tempo stesso gioiosa della Madre di Gesù». Infine Colmegna ritorna a
citare il gesuita suo maestro: «Se si dovesse riassumere in una parola
quanto l’esperienza di vivere la carità ci ha insegnato, spingendoci
continuamente oltre, prenderemmo a prestito l’ultima parola che il cardinal Martini ci ha consegnato: “eccedenza”. Non
tolleranza, ma radicale domanda di fraternità e di umanità; non aiuto,
ma amicizia; non risposta a quello che chiedi per bisogno, ma a quello
che in più desideri e non esprimi; non un miglio, ma due; non solo il
vestito, ma anche il mantello…».
Proprio con un testo inedito di Martini si chiude Misericordia all’opera.
È la trascrizione dell’incontro avvenuto a Gerusalemme nel 2005, a
pochi mesi dell’avvio della Casa della carità, tra il cardinale,
Colmegna e i suoi collaboratori. Il gesuita invita all’”eccedenza
della carità” e alla “follia dell’amore”: «Molte persone non credono in
Dio, oppure non riescono a capire Dio, perché si fanno un’idea statica
di Dio come di una cosa che sta lì. Invece è, come dire, fuoco
divorante: è dono senza fine. La storia è in mano a coloro che capiscono
questa legge fondamentale dell’eccesso. Tutta la vita di Gesù è sotto
il segno di questa eccedenza, di questo buttarsi aldilà».