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lunedì 05 giugno 2023
 
Emozioni virtuali
 

«Mio figlio con i videogame strepita e sembra matto. Ma è sano?»

20/06/2017 

Quando Simone gioca ai videogiochi, si agita molto. Esulta quando vince, si arrabbia se viene sconfitto, a volte anche con parole irripetibili o con gesti di stizza violenta, ad esempio scaglia via il cellulare. Se poi sta giocando in collegamento con altri ragazzi, grida nel microfono e dalla cuffia si sentono le voci degli altri, anche loro senza controllo. È vero che i quindicenni sono esuberanti, ma così non è troppo?

EMMA

— Gioco a Call of Duty e sono un soldato che partecipa ad azioni di guerra e spara all’impazzata. Gioco a Fifa 2017 e segno gol con la squadra più forte del mondo. Nel videogioco posso diventare pilota di Formula Uno, asso del basket o del calcio, combattente medievale o del futuro, investigatore astuto. Posso essere ciò che non sono, senza sforzo e senza mai perdere o vincere veramente. I videogame uniscono la perfezione di un contesto di immagini e suoni avvolgente, molto verosimile, con l’avventura propria del gioco di fantasia. Per questo suscitano intense emozioni, che possono travolgere le persone. Quindicenni e anche non pochi dei loro fratelli maggiori, magari ventenni. Emozioni forti, come quelle che si potrebbero provare sulle attrazioni di un parco giochi, ma virtuali. Che scatenano adrenalina ma stando fermi al proprio computer. E che non si traducono in sentimenti autentici. La sostituzione dei sentimenti con le emozioni intense è cosa vecchia. La letteratura, la musica, il cinema hanno da sempre suscitato ondate emozionali negli spettatori. Che sono tali: assistono alla messa in scena ma non sono direttamente partecipi. Spesso tuttavia siamo messi di fronte a situazioni umane complesse e profonde, come nei grandi capolavori del cinema o della narrativa. E chi mette in scena le emozioni, sia un cantante o un attore, è un essere umano. Nel videogioco non ci sono uomini e donne. Vengono rappresentate perlopiù situazioni semplici e ripetitive che coinvolgono i ragazzi in modo ipnotico. Mettono in scena emozioni, ma non fanno provare sentimenti veri: quelli che viviamo nel contatto reale con le persone. Per questo, vanno presi a piccole dosi. Senza demonizzarli, anzi, riconoscendone il valore e la perfezione tecnologica, ma ricordando ai ragazzi che la sconfitta e la vittoria nel mondo reale hanno sempre un prezzo da pagare. Un tempo si raccomandava alle signorine di buona famiglia di non farsi trascinare dalle romanticherie della letteratura rosa, da non confondere con la complessità dell’amore. Oggi dobbiamo farlo con i nostri adolescenti. Ancorandoli a un mondo di affetti reali, che vanno pensati e non solo provati.

 
 
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