Ho un figlio che è certificato come plusdotato. Il suo quoziente intellettivo è superiore a 130 e questo dovrebbe rappresentare un vantaggio per lui.
In realtà a scuola, lo scorso anno, è stato tutto faticosissimo. È entrato nella prima classe della secondaria di primo grado della nostra città. Gli altri compagni, anche per gli anni difficili del Covid, erano molto indietro in termini di abilità e competenze cognitive.
I docenti sapevano della plusdotazione di nostro figlio e cercavano di fornirgli stimoli di apprendimento più intensi e complessi di quelli destinati agli altri alunni, ma lui era sempre annoiato.
Inoltre, non è riuscito a legare con nessuno e a volte ha avuto scatti esplosivi di rabbia, ottenendo anche note di richiamo sul registro. Questa cosa gli si è ritorta contro: qualche genitore degli altri compagni ha allertato il proprio figlio invitandolo a stare alla debita distanza dal nostro, così da evitare di trovarsi coinvolto in situazioni che sarebbero potute essere penalizzanti.
Di fronte ad un nuovo anno scolastico ci domandiamo come genitori se ci sono strategie specifiche da implementare per evitare che nostro figlio si trovi di nuovo a dover affrontare il suo stato di plusdotato con una sensazione di fatica, se non frustrazione all’interno della sua esperienza di classe. CARLOTTA
La risposta di Alberto Pellai
– Cara Carlotta,la tua lettera pone molti quesiti.
Dovrebbe essere indirizzata, in prima istanza, al corpo docente della classe che tuo figlio frequenta, perché – essendo consapevole dello stato di plusdotazione del ragazzo – dovrebbe affrontare la situazione con molti più accorgimenti in grado di non farlo sentire annoiato e un pesce fuor d’acqua.
Come spiega bene Lara Milan nel libro Plusdotazione e talento. Guida rapida per insegnanti (Erickson), il soggetto plusdotato entra in classe con specifici bisogni sia in ambito cognitivo che in ambito emotivo.
Gli va garantito un “ritmo” di apprendimento funzionale all’intensa intuitività con cui si avvicina ad ogni nuova nozione. Come chiarisce l’autrice, «i ragazzi gifted tendono a mettersi in gioco se ritengono il compito significativo e non per un semplice senso del dovere. Con loro non funzionano note e punizioni», e per meglio permettere loro di ottimizzare la propria esperienza di classe ottenendo il massimo vantaggio e piacere,
si dovrebbe organizzare «un angolo di lavoro dove svolgere attività diversificate», magari sotto la guida di un docente specializzato che fornisce indicazioni e stimoli personalizzati