La copertina del libro
Addio a Sinisa Mihajlovic. L'ex calciatore e allenatore serbo è morto venerdì a Roma, all'età di 53 anni, al termine di una battaglia contro una forma aggressiva di leucemia che lo aveva attaccato da marzo del 2019. La famiglia Mihahjlovic ha diramato un comunicato nel quale annuncia la scomparsa del tecnico serbo, definendo la sua morte «ingiusta e prematura»: «La moglie Arianna, con i figli Viktorija, Virginia, Miroslav, Dusan e Nikolas, la nipotina Violante, la mamma Vikyorija e il fratello Drazen, nel dolore comunicano la morte ingiusta e prematura del marito, padre, figlio e fratello esemplare, Sinisa Mihajlovic. Uomo unico professionista straordinario, disponibile e buono con tutti. Coraggiosamente ha lottato contro una orribile malattia. Ringraziamo i medici e le infermiere che lo hanno seguito in questi anni, con amore e rispetto, in particolare la dottoressa Francesca Bonifazi, il dottor Antonio Curti, il Prof. Alessndro Rambaldi, e il Dott. Luca Marchetti. Sinisa resterà sempre con noi. Vivo con tutto l'amore che ci ha regalato».
Pubblichiamo l'intervista alla figlia Viktorija che nel 2020 aveva scritto un libro dedicato al padre e alla sua battaglia contro il tumore.
Quando il 12 luglio di un anno fa la vita di Siniša Mihajlović s’è ribaltata come quelle parabole imprevedibili che disegnava in campo con le sue punizioni, sua figlia Viktorija, la maggiore dei cinque, voleva spaccare tutto per la disperazione. «Eravamo in vacanza a Porto Cervo, in Sardegna», racconta, «ho reagito malissimo e ho cominciato a piangere disperatamente. Sono impulsiva e non riesco a controllare le emozioni, a differenza di mia sorella Virginia. Quando sono rientrati a casa Miroslav, Dusan e Nikolas (gli altri fratelli, ndr) hanno visto che stavo piangendo come una disperata e mamma ha dovuto dirgli subito che papà aveva la leucemia».
Viktorija è una tipa tosta («papà ha promesso uno stipendio per il coraggio al mio futuro marito»), battagliera come il “sergente Siniša” del quale dice di essere innamorata. In Siniša, mio padre (Sperling & Kupfer, pp. 224, € 17,90), in libreria dal 19 maggio, Viktorija racconta tutto, senza troppi filtri, proprio com’è lei: gli scontri con il padre da adolescente, le punizioni che le infliggeva perché andava male a scuola, la famiglia costruita su una storia d’amore «commovente» tra i suoi genitori, di come ha vinto la fobia degli ospedali per andare a trovare il padre nel pieno della battaglia contro il male, la fede del padre legata in particolare a Medjugorje.
Com’è cambiato suo padre con la malattia?
«È diventato più sensibile e disposto a tirar fuori quello che ha dentro. Prima era più introverso. Ora, invece, è molto più emotivo, empatico, comprensivo e anche dialogante. Si gode i piccoli momenti di piacere come fumare il sigaro in terrazza. In passato, travolto dal lavoro, lo faceva di meno».
Con lei ha sempre battagliato.
«Abbiamo avuto grandi scontri. Da adolescente ero troppo irruente. Mio padre aveva un modo tranquillo e fermo di dirmi le cose. Ci tiene allo studio e cerca di tirare fuori il meglio da me. La sua severità nasce dal bene che mi vuole».
Adesso come sta?
«Meglio, ha reagito bene alle cure sin dall’inizio ma la leucemia è imprevedibile. Bisogna viverla giorno per giorno, però l’esito degli ultimi esami è positivo. Serve tempo. Il peso lo ha recuperato, si sta dedicando un po’ a se stesso, alla sua vita e al calcio».
Ha paura di tornare in campo con il rischio del virus?
«Non vede l’ora. Gli è mancato tantissimo allenare, l’altro giorno ha fatto quasi un’ora di corsa. Lui è una persona molto ottimista e positiva, anche questa pandemia l’ha affrontata con lo spirito giusto».
Non vi siete annoiati?
«No, siamo una famiglia numerosa, oltre ai cani, abbiamo comprato anche alcuni pappagalli. Papà ama molto mangiare e spesso uscivamo a comprare alcune golosità come il prosciutto spagnolo. In tv guardava film d’azione oppure i tornei di biliardo che io trovo noiosissimi e invece lui ne va matto».
Siniša Mihajlović con la figlia primogenita Viktorija, 25 anni
Com’è nata l’idea di questo libro?
«Quando c’è qualcosa che non va mi piace scrivere, come un flusso di coscienza, per sfogarmi. E siccome ho un legame fortissimo con mio papà ho voluto questo libro per farlo conoscere anche sotto altri aspetti. Lui ha fama di uno duro, persino antipatico, ma è tutt’altro. Anzitutto, un padre sempre presente, nonostante il lavoro impegnativo, affettuoso, e un uomo dolce e generoso. E poi l’ispirazione è venuta, in parte, anche dai social network».
In che senso?
«Mi seguono molti adolescenti di 13-14 anni ai quali mostro il lato bello della mia vita. Attraverso il libro volevo raccontare che non è sempre così e nella vita reale ci sono difficoltà, incomprensioni, affetti, litigi. Io sono una ragazza normale, che andava male a scuola, con i genitori che mi rimproveravano. Siamo una famiglia normale, bella, allegra, numerosa che ha avuto dei problemi come la malattia di papà».
Qual è stato il momento più brutto che ha vissuto?
«Quando sono andata in ospedale a Bologna per incontrarlo dopo il primo ciclo, durissimo, di chemioterapia. L’avevo lasciato che stava bene, a parte il dolore alla gamba che lo faceva zoppicare, e l’ho ritrovato con dieci chili in meno, senza capelli, pallido. È stato uno shock. Però ho visto che mio padre era rimasto un combattente». Cosa spera per il futuro? «Che papà continui a combattere la leucemia come sta facendo e di restare così come siamo, ancora più uniti, perché questa vicenda ci ha uniti di più. Mi auguro di laurearmi presto in Psicologia e creare una bella famiglia».
Lei è tifosa?
«Sì, delle squadre dove lavora papà anche se ho un debole per l’Inter».
Programmi per l’estate?
«Saremmo dovuti andare tutti insieme a Medjugorje in pellegrinaggio perché mio padre è legatissimo a quel luogo. Però ci tocca rimandare al prossimo anno».
Come vive la fede suo padre?
«In maniera molto discreta e riservata. Lui è ortodosso, non è un praticante assiduo però è profondamente credente, prega soprattutto la sera prima di andare a dormire e al polso ha sempre il braccialetto di Medjugorje».
Perché questo luogo gli è così caro?
«Ci andò da solo nel 2008 quando allenava per la prima volta il Bologna. mi ha detto che è stato un viaggio indimenticabile. Quando era lì piangeva senza un motivo apparente, era emozionatissimo anche se non riusciva a capirne il motivo. Mi ha detto di aver vissuto un’esperienza spirituale fortissima e per questo volevamo tornare tutti insieme quest’estate, purtroppo il virus ci ha costretto a bloccare tutto».
A ottobre scorso i tifosi rossoblù sono saliti in pellegrinaggio sul colle della Guardia per chiedere alla Madonna di san Luca la guarigione per il loro tecnico. Tra la folla c’era anche sua madre (Arianna Rapaccioni, ndr).
«Sì e si è molto commossa durante quel pellegrinaggio, ha voluto “mimetizzarsi” tra la gente per stare insieme a loro e condividere questo momento di preghiera dedicato a papà. È stata una bellissima esperienza, molto toccante».