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martedì 17 settembre 2024
 
 

I missionari e il Papa africano

25/02/2013  I pastori che conoscono bene l'Africa descrivono un cattolicesimo in crescita ma forse non ancora "maturo" per esprimere un pontefice.

"Magari la prossima volta". Rispondono così all'ipotesi del Papa africano i missionari che l'Africa la vivono ogni giorno da venti, trenta, quarant'anni. Per loro "è prematuro", perché se è vero che la Chiesa africana è in crescita, è anche vero che resta una Chiesa giovane, e di strada ne deve ancora fare. L'Africa ha i suoi santi, una per tutti, la sudanese Santa Bakhita, ha i suoi Nobel per la pace, da Kofi Annan a Nelson Mandela, fino all'arcivescovo emerito di Città del Capo, Desmond Tutu, e ha anche i suoi martiri. Sono aperte le beatificazioni di Julius Nyerere, presidente della Tanzania e del camerunese fra Jean Thierry Ebogo, giovane carmelitano scalzo. Ma il Papato è un'altra cosa. 


"I problemi che un Papa oggi deve affrontare sono enormi - spiega dom Elio Greselin, dehoniano, dal 2008 vescovo della Diocesi di Lichinga, in Mozambico -. Non si tratta solo di problemi di natura economica o politica, ma anche di convivenza fra le nazioni, di rapporti tra fedi diverse, di dialogo ecumenico, e poi ci sono le questioni teologiche, la riorganizzazione interna dell'Istituzione Chiesa... Serve una persona, intanto in buona salute, e poi che abbia un'apertura mentale assolutamente nuova, che sappia convergere su di sé molte energie positive, che sappia circondarsi di collaboratori fidati con i quali poter dialogare e fare opera di discernimento. Penso che l'Africa - pur avendo personalità autorevoli, molto preparate, come il cardinale Turkson (ghanese, presidente del Pontificio Consiglio Giustizia e Pace, considerato uno dei papabili"), che conosco bene per averlo incontrato più volte - possa aspettare ancora un po'".

"L'Africa è un continente di fede, dove le messe sono partecipate e il numero dei sacerdoti in crescita, tanto da poter mandare propri missionari a supplire alle carenze del vecchio mondo - dice da Bukavu, nella Repubblica Democratica del Congo, il saveriano padre Giuseppe Dovigo -. Tuttavia, non bisogna dimenticare che anche gli altri continenti sono Chiesa universale, in piena trasformazione, e hanno diritto di parola: l'America Latina, l'Asia... Se non adesso, per l'Africa sarà la prossima volta. Perciò affidiamoci allo Spirito Santo". Ma parlare di Africa significa parlare di un continente di quasi un miliardo di abitanti e di 54 stati, tutti diversi, per geografia, clima, paesaggi, risorse, etnie, lingue... Come diceva bene il giornalista polacco Ryszard Kapuscinski, il nome Africa è più una convenzione, mentre bisognerebbe parlare di tante Afriche perché ogni Stato è a sé. E pure l'evoluzione del cristianesimo è diversa a seconda dei Paesi a cui ci si riferisce.

Anche padre Daniele Moschetti, provinciale dei Comboniani, da Juba, in Sud Sudan, dice che sarebbe meglio passare il turno. "Credo che alla Chiesa africana serva ancora tempo per maturare". Qui il cristianesimo fu portato proprio dai Comboniani un secolo fa, ma permane una forte presenza delle religioni tradizionali. E non dappertutto le chiese sono piene. "In Mozambico la situazione non è rosea, anzi, ci sono segnali di grande scollamento tra la professione della vita quotidiana e la realtà concreta - racconta dom Greselin, che in Africa ci lavora dal 1966 -. Nella mia diocesi - che è grande praticamente quanto l'Italia del nord - sulla carta i cristiani sono 230mila, perché tutti vogliono il battesimo, ma solo il 10-12 per cento frequenta regolarmente la messa e meno ancora sono quelli che partecipano alle attività pastorali".

"Viviamo in una piccola realtà africana, senza contatti con l'esterno. Tanto che nessuno avrebbe saputo delle dimissioni del Papa se non lo avessimo annunciato noi". A parlare sono don Maurizio Bolzon e don Leopoldo Rossi, fidei donum della diocesi di Vicenza, che operano nella parrocchia di Loulou, nel nord del Cameroun. "Stiamo ancora cercando di spiegare alla gente l'atto di Benedetto XVI, perché in Africa un capo muore capo. Non è immaginabile che un capo si dimetta, perché il suo ruolo è tutt'uno con la sua persona. Qui a nessuno è venuto in mente che il prossimo Papa possa essere africano. Per quanto riguarda me e don Leopoldo, non lo sappiamo davvero se l'Africa sia pronta a esprimere un proprio Papa. Ci stiamo riflettendo, ma gli interrogativi sono tanti. Non sarà, in fondo, che il Papa africano andrebbe bene a tutti nella misura in cui ragiona e agisce esattamente come farebbe un bianco? La teologia africana si è così emancipata da quella occidentale? La liturgia africana, tolte le danze e i tamburi, è così dissimile da quella romana? Sono tutte questioni che ci poniamo". 

Ma c'è una voce discordante, che spera nel Papa africano. "Perché no? Sono in Africa da quarant'anni, e ho visto la Chiesa crescere in maniera straordinaria. Da oggetto di evangelizzazione è diventata soggetto di evangelizzazione - afferma suor Teresa Marcazzan, direttrice del Paolines Distribution Centre di Nairobi, in Kenya -. In Nigeria (da dove suor Teresa ci risponde), per esempio, su 150 milioni di abitanti, ci sono circa 30 milioni di cattolici. Quella africana è una bella Chiesa vivace, che cresce unita alla Chiesa di Roma. Ci sono tante personalità di spicco nel mondo ecclesiastico africano, perciò mi piacerebbe che il futuro Pontefice potesse provenire proprio da questo mondo; secondo me un Papa africano darebbe ancora più identità a questa Chiesa che non sempre è apprezzata come dovrebbe essere".

  Romina Gobbo

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