(Foto di Paolo Siccardi/WALKABOUT)
Ci sono grandi semi di sesamo nero che gli indigeni del Rio Negro (Brasile) hanno trasformato in flauti da suonare col naso. C’è una collana in denti di giaguaro appartenuta al popolo Bororo, nel Mato Grosso, e, poco oltre, si trovano monili degli Xavante e dei Carajà (anch’essi brasiliani). Dal Nord-Est dell’India arrivano deliziosi ornamenti fatti con le conchiglie, mentre, a rappresentare le terre del Sol Levante, ci sono piccole bambole per l’Hinamatsuri, la “festa delle bambine”, con cui i Giapponesi cercano di propiziare un buon matrimonio. La vetrina dedicata all’Africa mostra, tra l’altro, tamburi e maschere dal Congo, nella sezione Oceania è possibile osservare un boomerang e diversi manufatti in madreperla. Ma il Museo Etnografico Missioni don Bosco, che ha appena aperto i battenti a Torino, a un passo dalla basilica di Maria Ausiliatrice (là dove l’esperienza salesiana ha preso avvio), è qualcosa di più che una collezione di oggetti rari e affascinanti. Non si limita infatti a documentare, con puntualità e rigore scientifico, le culture di popoli sparsi nei cinque continenti. E’ un inno allo spirito che da sempre guida i missionari di don Bosco in ogni angolo del pianeta, fin nelle zone più remote e inospitali.
«Un’opera condotta con umiltà e nel costante ascolto dei bisogni profondi delle comunità locali» racconta Giampietro Pettenon, presidente Missioni don Bosco. «Soprattutto negli ultimi cinquant’anni, a partire dal Concilio Vatiano II, i nostri religiosi hanno lavorato per tutelare la cultura e l’identità dei popoli che hanno incontrato, aiutandoli a contemperare le loro radici con il messaggio cristiano». Ed è proprio su questi presupposti che oggi, in molti contesti, le nuove generazioni hanno inaugurato la riscoperta di tradizioni altrimenti perdute.
Il museo, racchiuso in un’unica stanza ma denso di contenuti, raccoglie oggetti facenti parte delle collezioni del Museo Etnologico Missionario di Colle don Bosco. «Organizzati per aree geografiche, troviamo utensili, arredi, abiti, ornamenti, frutto della creatività con cui i diversi gruppi umani hanno saputo adattarsi all’ambiente, trasformando le risorse disponibili per le esigenze della vita quotidiana e per la realizzazione delle pratiche culturali e rituali» racconta Elisabetta Gatto, antropologa e curatrice dell’esposizione. «Le testimonianze più antiche risalgono alla prima spedizione in Patagonia organizzata da don Bosco nel 1875». Da notare che alcuni degli oggetti esposti fanno riferimento a comunità oggi scomparse: «E' il caso degli indigeni della Terra del Fuoco».
Il museo non pretende di raccontare in modo esaustivo l’esperienza missionaria salesiana. Intende soprattutto essere un segno, capace di interrogare i tanti pellegrini che quotidianamente visitano Valdocco. «In questi luoghi tutto parla» ha detto don Ángel Fernández Artime, rettor maggiore dei salesiani, poco prima di benedire il nuovo spazio espositivo. «Tutto qui ci ricorda l’esperienza umana e il carisma spirituale di don Bosco. E questo non è semplicemente un museo, ma è la testimonianza di una storia che si rinnova». Sì, perché, l’inaugurazione avviene in concomitanza con la partenza di un nuovo gruppo di missionari: 36 salesiani e 12 figlie di Maria Ausiliatrice. E’ la centocinquantesima volta dal 1875 che, con il rito della consegna del crocifisso, i religiosi di don Bosco vengono inviati da Torino in ogni angolo del pianeta.
Per quanto riguarda il ramo maschile, «va osservato che su 36 missionari, appena 4 vengono dall’Europa», osserva don Gianni Rolandi, che in questi mesi ha seguito la preparazione delle partenze. «Sedici sono asiatici (in maggioranza da Vietnam e India), 12 arrivano dall’Africa (Madagascar compreso), 4 dall’America Latina. E’ il segno di una Chiesa che cambia volto». Marcos Dalla Cia, argentino della Patagonia, si prepara per raggiungere la Bulgaria, il croato Tomislav Puškazić partirà per i territori amazzonici del Venezuela, mentre al giapponese Tsutsumi Riosaku toccherà la missione in Papua Nuova Guinea. Suor Eblin Yanessi Angel Pereo, colombiana, non conosce ancora la sua destinazione (la scoprirà il prossima 31 gennaio, festa liturgica di don Bosco), ma si sente «pronta a servire Gesù dove lui vorrà». Quanto alle età, si va dai 23 agli 81 anni. «Abbiamo anche un religioso siriano di 71 anni, che partirà per la Tunisia», spiega ancora don Rolandi. «La sua conoscenza della lingua araba, insieme all’esperienza a contatto col mondo musulmano, saranno, in quella terra, quanto mai preziose».