(Foto Reuters)
Nel Sudest asiatico, tra Myanmar (ex Birmania) e Bangladesh, è emergenza umanitaria. La tragedia Rohingya, la comunità di fede musulmana in Myanmar e una delle minoranze più perseguitate al mondo, ha raggiunto dimensioni enormi. Concentrati nello Stato occidentale del Rakhine, privi di cittadinanza - perché lo Stato birmano, a maggioranza buddhista, non li ha inclusi nella lista degli oltre 130 gruppi etnici riconosciuti nel Paese - e vittime di repressione e discriminazione, i Rohingya stanno vivendo un esodo di massa verso il confinante Bangladesh.
Amnesty International denuncia che in Myanmar è in corso una vera e propria pulizia etnica. I campi rifugiati che li accolgono sono al limite delle possibilità e le condizioni di vita e di salute dei profughi birmani estremamente precarie. Centinaia di migliaia di persone vivono in accampamenti dfi fortuna con servizi igienici carenti e senza cure mediche. La Ong Moas (Migrant offshore aid station), dopo aver chiuso la sua missione di soccorso in mare nel Mediterraneo, a settembre ha spostato le sue operazioni in Bangladesh, per portare aiuto al popolo in fuga.
«Abbiamo accolto l'appello di papa Francesco a non dimenticare la sofferenza dei nostri fratelli e sorelle Rohingya», afferma Regina Catrambone, co-fondatrice e direttrice di Moas. Dopo una navigazione di tre settimane dal'Europa, la nave Phoenix è arrivata alcuni giorni fa in Bangladesh: farà da supporto alla missione e trasporterà aiuti nel Paese asiatico, dove Moas Italia ha creato la prima Aid station (stazione di aiuto), con sede a Shamlapur. Moas Italia coordina le sue attività sul posto insieme alle altre Ong presenti secondo un meccanismo gestito dall'Organizzazione internazionale per le migrazioni (Oim): di primaria importanza è l'assistenza sanitaria di base, da garantire a tutti i profughi nei vari insediamenti. Inoltre, è urgente l'immunizzazione da malattie legate alle scarse condizioni igieniche ma che sarebbero evitabili.
«I nostri operatori stanno toccando con mano una situazione tanto drammatica quanto pericolosa per il rischio che si diffondano epidemie e aumenti il già elevato tasso di malnutrizione», spiega la Catrambone. «Ogni giorno nei campi informali e non dell’area circostante Cox’s Bazar dove operiamo e dove inaugureremo prossimamente la prima Moas Aid Station, arrivano intere famiglie stremate da giorni di stenti e violenze. Da agosto sono oltre 515.000 le persone che sono fuggite dal Myanmar, riparando in Bangladesh, con un ritmo tale da generare "una delle crisi che si sviluppano più velocemente" secondo l’Unhcr. A rendere ancora più drammatica questa situazione è la composizione stessa dei flussi: sono prevalentemente donne e bambini ad arrivare. I dati Unicef parlano di almeno "240.000 bambini fra i rifugiati di cui circa 36.000 hanno meno di un anno oltre a 52.000 donne incinte o in fase di allattamento». E aggiunge: «Con Moas Italia ci impegniamo ancora una volta ad assistere i più vulnerabili in un'area remota e quasi dimenticata».