Contribuisci a mantenere questo sito gratuito

Riusciamo a fornire informazione gratuita grazie alla pubblicità erogata dai nostri partner.
Accettando i consensi richiesti permetti ad i nostri partner di creare un'esperienza personalizzata ed offrirti un miglior servizio.
Avrai comunque la possibilità di revocare il consenso in qualunque momento.

Selezionando 'Accetta tutto', vedrai più spesso annunci su argomenti che ti interessano.
Selezionando 'Accetta solo cookie necessari', vedrai annunci generici non necessariamente attinenti ai tuoi interessi.

logo san paolo
mercoledì 18 settembre 2024
 
 

Anatomia di una famiglia

30/08/2013  "La moglie del poliziotto" affronta con delicatezza il tema della violenza domestica sulle donne, ma è anche il toccante ritratto dell'amore materno per i figli. C'è da augurarsi che arrivi nelle sale italiane.

Un "grande silenzio" torna nell'ultimo film di Philip Groning, noto per l'omonimo documentario sulla vita cenobitica della Grande Chartreuse del 2005.

Ne La moglie del poliziotto, in concorso alla Mostra, il regista tedesco si concentra sulla famiglia "tradizionale" con il rigore e la delicatezza che otto anni fa avevano affascinato il pubblico europeo. Una vita a tre dove tra i genitori c'è, però, poca abitudine a verbalizzare quanto accade. Se per i monaci era una "sfida" spirituale, qui il silenzio esasperato diventa una spia d'allarme e di pericolo.

Servono 175 minuti, una sessantina di capitoli, per studiare l'anatomia di una coppia (forse) serena che pian piano scivola nella tragedia. Con loro la bimba (nel set si turnano 2 gemelline) che non rimane estranea al dramma della violenza crescente che la madre subisce fra le mura domestiche. Eppure sarebbe riduttivo parlare solo di sofferenza per un film che svela senza romanticismo i dettagli meravigliosi della cura (la vestizione, il bagnetto, le coccole, la scoperta della natura, il dono della fantasia...) e dell'amore che una madre può donare, pur vessata diabolicamente dal marito. La sua è una vera e propria lotta perché alla sua bambina non manchi mai l'effetto che consente una crescita sana ed equilibrata.

Una donna dalle forti contraddizioni che, pur non ribellandosi e non cercando aiuto, al contempo non abbandona mai la sua dedizione materna neanche quando i lividi diventano l'epidermide del cuore. Si sente il profumo della patologia (manca l'amore per se stessa) impastato con quello della virtù (la speranza e la fiducia che l'amore possa guarire anche le ferite più intense).

Proprio in questo difficile connubio universale emerge la mancanza dell'educazione affettiva dei due giovani coniugi. In modo diverso rivelano una debolezza che nel momento della fatica diventa pericolo anche per il frutto più fragile del loro amore. Ineccepibile la struttura estetica a sostegno dei concetti cari a Groning: la divisione in capitoli segnalata ogni volta sia all'inizio che alla fine di ciascuno di essi consente allo spettatore, disponibile al tema, di trovare il suo ritmo dentro alla sofferta vicenda. C'è lo spazio per respirare, per non rimanere inghiottiti nella tristezza. Il regista offre alcuni istanti di silenzio, ormai dimensione ineliminabile della sua carriera, in cui fare i conti con quanto accade, in cui dare un giudizio personale.

Tra le pieghe del suo simil documentario, che lui definisce "mosaico", sceglie una forma morale che sappia difendere lo spettatore dall'enfasi della violenza. Il suo contributo che si estende a sceneggiatura, regia e montaggio va a creare un serrato equilibrio che non ha voluto intaccare con nessuna musica tranne il canto e le filastrocche a turno recitate dai tre protagonisti.

"Volevo dare l'idea - ha spiegato Groning - del trasferimento d'amore che avviene prima di tutto tra madre e figlio nel canto. Quando cantiamo siamo un pò di più noi stessi, anche come adulti. E ogni canto diviene, inoltre, una pausa anche per lo spettatore che ha bisogno di stare un po' da solo con se stesso." Lo sforzo di immaginazione del quotidiano della famiglia e della perversione che si può generare in un clima di relazioni violente è un valore aggiunto dell'opera che sa raccontare anche la strumentalizzazione della bambina da parte del padre e il parallelo esasperato tentativo di protezione da parte della madre. "Il marito - aggiunge il regista - è una persona a cui è mancato l'amore. Ci sono momenti in cui questo ci porta il pericolo di entrare nella violenza che sa distruggere parte della nostra personalità. Ci svuota". Il grande silenzio fu una sfida, vinta, in termini distributivi. Stavolta per La moglie del poliziotto la curiosità poetica non è l'arma giusta per il botteghino, ma il tema purtroppo così attuale e il linguaggio prescelto meriterebbero una possibilità nei cinema italiani.

Multimedia
Ingrid Bergman, svedese dal cuore latino
Correlati
 
 
Pubblicità
Edicola San Paolo