Metti due professori di filosofia, uno a Milano, l’altro in Olanda; uno juventino, l’altro granata. Butta idealmente in mezzo un pallone, anzi un Mondiale di calcio senza l’Italia con qualche milione di Ct da poltrona orfani della frittatona di cipolle e stai a vedere. Il combinato disposto non è dei più ovvi e, proprio per questo, ne escono risultati sorprendenti: per esempio un libro fuori dagli schemi come La partita perfetta, filosofia del calcio, che non solo invita a prendere l’esclusione degli azzurri con filosofia senza che sia soltanto un modo di dire, ma prova a “ragionare” filosoficamente (absit iniuria verbis) di pallone con un linguaggio lieve e immediato, riuscendo nell’impresa non solo di convincere un editore serio come Utet a occuparsi di un tema per i suoi tipi inconsueto (non oseremmo definirlo frivolo per rispetto del popolo azzurro orbato del “suo” Mondiale); ma anche nell’intento di affrontare il fenomeno calcio con uno sguardo diverso, originale e divertente. Di più, riescono a usare uno sport, accusato di essere – come anche talora è – catalizzatore d’infimi istinti (anche il più impenitente degli illuministi può appendere la ragione al chiodo per novanta minuti) per porre e porsi domande intelligenti al seguito dei rimbalzi di una palla rincorsa da ventidue sfaccendati in mutande.
Corrado del Bò, associato di Filosofia del diritto alla Statale di Milano, e Filippo Santoni de Sio, assistant professor di Filosofia alla Delft University of Technology, sono documentatissimi in tema di calcio come solo gli appassionati veri sanno essere. Sorge il sospetto, leggendo, che siano di quelli che (magari non all’esame) potrebbero perdonarti d’attribuire il De consolatione philosophiae a Erasmo da Rotterdam anziché a Severino Boezio, ma se ti scappa un refuso su Italia-Norvegia 1994 te lo rinfacciano fino al 2026 (quando l’Italia ci sarà di sicuro perché il Mondiale sarà a 48 squadre).
Veniamo al calcio d’inizio: la consolazione della filosofia esiste e può dare un senso a un Mondiale senza Italia? Il genio del pallone è vera genialità? Tifare per una Nazionale è essere nazionalisti? E una Nazionale al tempo della sentenza Bosman e delle grandi migrazioni ha ancora senso? Rigore, d’accordo, è rigore quando arbitro fischia, ma l’arbitro, con o senza Var, può davvero come qualcuno chiede applicare il regolamento senza interpretarlo o le cose sono meno semplici di come paiono dal divano? E quella volta che Baresi segnò il rigore contro l’Atalanta che aveva buttato fuori il pallone per consentire il soccorso a Borgonovo infortunato rispettò solo il regolamento Fifa o anche le regole non scritte del fair-play? Sono alcuni dei quesiti che i due si sono posti.
Difficile negare il contenuto filosofico delle domande, anche se ci vuole una dose di autoironia per porsele scendendo da più elevati temi: può darsi che per chi s’è cimentato, abituato a ben altre seriose questioni, sia stato davvero un gioco, ma si capisce che è stato serio nello sforzo di utilizzare le categorie del mestiere per ragionare di calcio con il distacco dei filosofi, senza sofismi, con parole semplici capaci di parlare anche all’ultimo degli appassionati: quello che domani dovrà accontentarsi di Russia-Arabia Saudita e avrà bisogno di farsene una ragione.