Monsignor Charles Scicluna, 62 anni. Tutte le foto di questo servizio sono dell'agenzia Ansa.
«Il Papa viene nella nostra isola come araldo e messaggero della riconciliazione e della misericordia non solo nel bacino mediterraneo, ma in tutto il mondo». Monsignor Charles Scicluna, 62 anni, arcivescovo metropolita di Malta, spiega natura e obiettivi del viaggio che papa Francesco s’accinge a compiere il 2 e 3 aprile. Lo fa in un’intervista che Famiglia Cristiana pubblica sul numero in edicola e in parrocchia. «La visita era prevista nel maggio 2020, per il giorno di Pentecoste. La pandemia ha fatto slittare l’appuntamento, ma abbiamo lasciato intatto il programma. Saranno due giorni di preghiera e incontri con la tappa a Gozo e al Santuario nazionale di Ta’ Pinu».
Il motto scelto («Ci trattarono con rara umanità») rimanda al tema dei migranti, al centro del programma. «La citazione», conferma monsignor Scicluna, «viene dal capitolo 28 degli Atti degli apostoli. Ed è il giudizio che dà Luca sull’accoglienza che i maltesi garantirono a 276 naufraghi, tra i quali c’era anche l’apostolo Paolo. Questo, per noi, è un richiamo alla responsabilità anche nel mondo di oggi e nelle circostanze presenti. Il Mediterraneo diventa sempre più un mare che, invece che essere una costellazione di porti sicuri, è, come dice papa Francesco, un cimitero per i nostri fratelli».
«Come Chiesa», sottolinea ancora monsignor Scicluna, «ci siamo sempre impegnati, sin dall’inizio del fenomeno. Forniamo alle istituzioni ambienti e locali per la permanenza gratuita di un centinaio di migranti. Cerchiamo di collaborare non solo perché si salvino le vite in mare, ma per un’accoglienza degna di coloro che si fermano da noi. È anche vero che, come comunità cristiana, siamo del parere che occorre cambiare la Convenzione di Dublino, secondo la quale la persona che arriva in un Paese deve rimanere lì. Questo, per noi, crea un peso sproporzionato alle nostre risorse e alla grandezza del territorio. Siamo consapevoli del nostro dovere di umanità, di salvare chi è in pericolo. Abbiamo, però, bisogno di una solidarietà più ampia, come gli altri Paesi che si affacciano sul mare».