Per molti, il suo nome è inscindibilmente legato alla musica liturgica, a canti che, nel tempo, sono diventati dei classici di questo genere, grazie a melodie riconoscibili e fortemente evocative. Ma monsignor Marco Frisina, sacerdote e compositore, è un uomo dalla personalità sfaccettata e dai molti interessi. Della sua produzione fa parte, tra l’altro, “La divina commedia opera musical”, un viaggio contemporaneo, sulle orme di Dante, nei tre regni ultraterreni, dove i versi del sommo poeta si fondono con parole e sonorità dei nostri giorni. Protagonisti 8 cantanti-attori, 12 ballerini-acrobati e un apparato scenico imponente. Prodotto da Mic International Company, con la regia di Andrea Ortis, che ha anche curato i testi insieme a Gianmario Pagano, il musical, premiato con la Medaglia d’Oro dalla Società Dante Alighieri, torna in tour dal 25 gennaio, in una versione rinnovata e arricchita di effetti scenici. La prima è a Senigallia. Poi Milano, Roma, Torino, Catanzaro.
Monsignor Frisina, com’è nata questa avventura?
«Il progetto ha radici lontane. Ho una passione particolare per la Commedia dantesca, fin da quando ero molto giovane. E già in passato mi era capitato, in varie occasioni, di commentare questi versi straordinari. Poi, nel 2005, ho avuto l’idea di una trasposizione musicale: sognavo una Divina Commedia dal sapore contemporaneo, capace di parlare anche ai più giovani. Era una sfida ardua e per certi versi rischiosa, anche perché mai tentata prima. Ma quando mi sono messo a lavorare alle prime arie, mi sono trovato a mio agio con la musicalità dei versi danteschi e ho scoperto che i personaggi avevano una tale potenza da suggerire, in modo abbastanza naturale, melodie e armonie adatte. Il risultato è un lavoro di sintesi, che condensa il viaggio di Dante in circa due ore. Lo spettacolo ha debuttato nel 2007 e dopo 17 anni, con varie aggiunte, cambiamenti e migliorie, è ancora in circolo».
La versione che sta per andare in tour fa ampio uso della tecnologia, con luci, proiezioni, cambi di scena ed effetti 3D molto elaborati. Come valuta, da compositore, questi apporti?
«Credo siano contributi preziosi, perché aiutano gli spettatori a immergersi nel quadro, a emozionarsi di più e, quindi, anche ad apprezzare maggiormente la musica».
A proposito di musica, che il mondo dei suoni possa aprire al mistero e alla contemplazione è innegabile. Certo, però, musicare il paradiso è una sfida da far tremar le vene e i polsi (tanto per restare in ambito dantesco). Come vi si è accostato?
«Bisogna dire, innanzi tutto, che a ognuna delle tre cantiche è associato un preciso clima sonoro. Per l’inferno ho pensato a generi diversi, ma tutti connotati da una forte tensione drammatica e da una natura graffiante. Ad esempio, per la città di Dite (la zona in cui Dante colloca gli eresiarchi e altri peccatori, ndr) ho scelto il rock. Il purgatorio, invece, è un regno a tinte pastello, di albe e di tramonti. Per restituire lo struggimento verso la salita, ho immaginato un clima sonoro di grande dolcezza, come nell’aria “L’ora che volge il disio”. Il paradiso, poi, è gioia allo stato puro. Dopo l’inno “Vergine Madre”, in cui tutti partecipano alla lode di Maria, c’è una vera e propria esplosione gioiosa, che ci conduce al gran finale».
Che cosa le ha lasciato questa esperienza compositiva, come musicista, come religioso e come uomo?
«È un lavoro al quale sono particolarmente legato. Mi ha assorbito molto tempo e molte energie, ma è stato un arricchimento continuo. La Divina Commedia è una fonte praticamente inesauribile di spunti, tanto che in certi momenti mi verrebbe voglia di riprendere in mano il lavoro, magari per musicare parti che nella stesura del 2007 ho dovuto tralasciare. Amo l’opera dantesca perché è fede divenuta poesia. Io ho cercato di trasformare quella stessa fede in canto. Ecco perché spero che, dopo aver visto lo spettacolo, a qualcuno venga voglia di riprendere in mano la Divina Commedia. E rileggerla».
Qual è, secondo lei, l’aspetto più attuale dell’opera di Dante?
«Il poeta percorre un itinerario. Partendo dalla selva oscura dei suoi problemi e del peccato, vissuto nelle forme più estreme e drammatiche, viene chiamato a salire, a cercare il senso della propria esistenza. Nella Provvidenza, Dante fa questo viaggio, che gli mostra l’abisso del cuore umano, però anche le potenzialità di bene e di bellezza. E lo porta a capire che il fine della sua esistenza è l’amore, vissuto nella libertà di Dio. L’uomo di oggi è come Dante, immerso nella selva oscura della violenza, delle guerre, del peccato. Ma come Dante cerca il senso della propria vita e può fare un viaggio profondo, spirituale, orientato a scoprire la bellezza».