La a Pasqua del 2022 si celebra nel contesto di una guerra fratricida. Una guerra nel cuore di un’Europa che da decenni non conosceva più conflitti armati e si era forse illusa di aver conquistato per sempre la pace. Tra quanti la vivranno in un modo totalmente inatteso c’è monsignor Paolo Pezzi, 62 anni, dal 2007 arcivescovo metropolita dell’arcidiocesi cattolica della Madre di Dio a Mosca. Nonostante le difficoltà di comunicazione e la situazione a dir poco delicata, Pezzi (di cui da poche settimane Ares ha pubblicato il libro La piccola Chiesa nella grande Russia) ha accettato di raccontarsi a Credere.
Eccellenza, quali sentimenti prova in questo momento così difficile, nel pieno della guerra?
«Un dolore straziante. Quest’anno pensavamo di cominciare la Quaresima alla grande, in presenza e in pace, dopo due anni di epidemia. C’era tanta gente, come non mai, il Mercoledì delle ceneri in cattedrale a Mosca. Ed ecco che, imprevista per i più (o forse taciuta?), ci si è abbattuta addosso un’altra tragedia. Perfino tra i fedeli ho notato riapparire un’improvvisa diffidenza solo perché si appartiene a popoli diversi. Quello stesso dolore straziante l’ho rivisto nel volto dei miei fedeli. Penso al padre di una ragazza, che dall’Ucraina le dice al telefono: “Figlia, non so dove sarò domani, ma sappi che ti ho voluto sempre bene”».
Come ha reagito da pastore, davanti a una guerra che sta lacerando do le comunità al loro interno e gli stessi rapporti fra i cristiani?
«Mi è venuto da pensare: se le cose stanno così, è come se Gesù Cristo fosse venuto invano! È come se la fede, il Battesimo non riuscissero a farci fare quel “saltino”, piccolo eppure infinito, che è il perdono, la misericordia. La guerra mostra l’umiliazione della politica e dell’economia, usate per sottomettere e non per fare crescere. Ma non potrà esserci pace senza verità, e non ci sarà verità senza perdono, e non c’è perdono senza un Dio che morendo dice: “Padre, perdonali, perché non sanno quello che fanno”. Prego perché questo dolore straziante ci riporti a Dio, ci cambi, ci faccia “vedere” che la riconciliazione e il perdono ci sono necessari come il pane, come l’aria». Invocare Dio in situazioni come la guerra in Ucraina a molti appare inutile.
Perché, al contrario, lei continua a credere nella forza della preghiera?
«In queste ultime settimane mi è capitato spesso di affermare che è importante uscire dalla logica dell’amico/nemico per entrare nella logica di Dio che fa splendere il sole e fa cadere la pioggia per tutti, per i buoni e i cattivi. Ciò può essere paradossale, per alcuni inaccettabile. Eppure questo è il metodo di Dio. Questa follia si vince con un’altra follia, che è la follia di Dio, del perdono, di uno sguardo diverso sull’altro. Papa Francesco lo ha ripetuto anche nel suo recente viaggio a Malta: “Nella notte della guerra che è calata sull’umanità, non facciamo svanire il sogno della pace”. Il compito che abbiamo in questo momento è di rendere accessibile, laddove siamo, questo sguardo e questa follia di Dio. Perciò dico: continuiamo a pregare insieme».
Chi non smette di insistere sulla necessità di pregare è, come lei stesso ha appena detto, papa Francesco, che il 25 marzo scorso ha promosso la consacrazione al Cuore immacolato di Maria di Russia e
«Il Papa ancora una volta ci ha spiazzato. L’iniziativa di consacrare al Cuore immacolato di Maria la Russia e l’Ucraina è stato come alzare lo sguardo al cielo, senza distoglierlo dalla terra. È stato come indicare una strada percorribile a tutti, indipendentemente dal loro credo esistenziale o religioso. Alzare lo sguardo dal buio pesto in cui ci troviamo per rivolgerlo a una fiammella di luce, che proprio perché “immacolata”, cioè pura e gratuita, può rischiarare la tenebra. Recentemente ho riletto quanto papa Francesco disse durante il suo viaggio in Iraq e mi ha colpito questo passaggio: “Da dove può cominciare il cammino della pace? Dalla rinuncia ad avere nemici. Chi ha il coraggio di guardare le stelle, chi crede in Dio, non ha nemici da combattere. Ha un solo nemico da affrontare, che sta alla porta del cuore e bussa per entrare: è l’inimicizia”. Ecco, consacrarsi al Cuore immacolato di Maria ci ha fatto essere un po’ più “per” e un po’ meno “contro”».
La “carovana della pace” che, su iniziativa della Comunità Giovanni XXIII, ha portato recentemente in Ucraina 200 persone provenienti dall’Italia (ne parliamo in questo numero di Credere alle pagine 1
«I rifugiati, i migranti, coloro che devono abbandonare la propria terra, la propria casa, perché costretti dalle circostanze di vita o di morte sono purtroppo una realtà crescente nel secolo XXI! Quindi ogni iniziativa che non solo tende ad accogliere questi reali poveri del mondo, ma cerca anche di aiutarli a ritornare a casa è estremamente importante. Tanto più se afferma l’amicizia tra i popoli e non l’inimicizia».
A Pasqua i cristiani festeggiano nel modo più solenne possibile l’evento centrale della fede: la risurrezione. Quest’anno però la celebreranno in un contesto nel quale tutto sembra parlare di morte e
«La risurrezione è l’evento-chiave della fede. San Paolo lo afferma chiaramente: “Se Cristo non è risorto, vuota allora è la nostra predicazione, vuota anche la vostra fede” (cfr. 1Corinzi 15,14). La risurrezione non è dunque un morto che riprende vita, non è un cadavere rianimato. La testimonianza di Giovanni insiste su un uomo che ha le stesse caratteristiche di Gesù di Nazaret, ma anche qualcosa di unico, mai intravisto prima. Egli è il Signore. Non solo: Cristo risorto è una presenza che accompagna la vita di coloro che hanno creduto in Gesù di Nazaret, ma anche di coloro che hanno creduto alla testimonianza degli apostoli e dei battezzati che di secolo in secolo hanno tramandato questa testimonianza fino ai giorni nostri. La risurrezione “rimette in moto” i discepoli ancora fortemente delusi e titubanti».
“Rimettersi in moto” alle vittime della guerra potrebbe apparire un’impresa impossibile, no?
«In ogni conflitto la sconfitta più disperante è proprio l’esaurirsi del desiderio dell’attesa. Lasciamoci provocare dalla Maddalena: lei non si arrestò davanti al fatto che non c’era più Gesù nel sepolcro. Il suo desiderio di rivederlo e di riabbracciarlo era così forte che, mentre i discepoli Giovanni e Pietro se ne tornarono a casa per cercare soluzioni per il futuro, lei restò davanti al sepolcro: le sue lacrime amare erano divenute “ardenti” di passione. E quando Gesù la chiamerà per nome, le farà sperimentare che la fiammella di speranza nel suo cuore non si era spenta».
Il prete romagnolo vescovo a Mosca
Nato a Russi (Ravenna) nel 1960, Paolo Pezzi ha compiuto gli studi di filosofia e di teologia negli anni 1985-1990 a Roma. È stato ordinato prete nel 1990, nella Fraternità sacerdotale dei missionari di San Carlo Borromeo, realtà nata dal carisma di don Luigi Giussani e dal movimento di Comunione e liberazione. Dal 1993 opera in Russia, dove per un periodo è stato rettore del Seminario maggiore Maria Regina degli Apostoli di San Pietroburgo. Il 21 settembre 2007 è stato nominato da papa Benedetto XVI alla guida dell’arcidiocesi della Madre di Dio a Mosca.
In libreria: La piccola Chiesa nella grande Russia
La diocesi cattolica di Mosca, vasta 7 volte l’Italia, è nata ufficialmente l’11 febbraio 2002. Di questa Chiesa monsignor Pezzi è il pastore. Contento di esserlo, nonostante le molte difficoltà, come si evince dalla lettura di La piccola Chiesa nella grande Russia che Pezzi ha scritto con la collaborazione di Riccardo Maccioni, giornalista di Avvenire, e che da poche settimane è in libreria per i tipi di Ares. Chi si aspettasse sofisticate analisi politologiche potrebbe restarne deluso. Discorso diverso se si vuol penetrare l’anima della spiritualità russa, avere un’idea delle difficoltà che ancora oggi i cattolici incontrano in quel Paese, nonostante i miglioramenti progressivi, cogliere la vita vissuta di una comunità per certi aspetti unica al mondo, dove l’ecumenismo è occasione e sfida quotidiana. Il libro poi offre numerosi, interessanti aneddoti personali. Prima di entrare in seminario il futuro vescovo ha avuto una fidanzata con la quale pensava di sposarsi: è morta tragicamente, a 25 anni, in un incidente stradale, quando alla guida dell’auto c’era proprio il giovane Paolo. Quanto all’esperienza in Russia, molto significativi i racconti di alcuni incontri folgoranti, tra i quali quello con un’anziana signora cui i soldati di Stalin uccisero due figli davanti a lei e che, nonostante tutto, ebbe il coraggio di perdonare. Monsignor Pezzi, per dirla con papa Francesco, si sforza di essere un «pastore con l’odore delle pecore». «Certe pagine del Vangelo, delle lettere di Paolo o dei Salmi», confida ad esempio Pezzi, «oggi mi sono più familiari in lingua russa che non in italiano». E ancora: «Se da giovane scrivevo una canzone ispirandomi ai cantautori italiani, oggi il riferimento sono i cantautori russi degli anni Novanta e del Duemila». G.F.