«Finché non vedremo un pezzo di stoffa sventolare con i colori della Palestina sopra i nostri tetti, non ci sarà pace neanche per Israele»: così monsignor Fouad Twal, patriarca latino di Gerusalemme. Da sempre il prelato chiede che i palestinesi possano avere un proprio Stato. Ecco perché ha abbracciato subito l’appello “Anche l’Italia affretti la pace”, lanciato il primo gennaio, in occasione della Giornata mondiale per la pace, da Pax Christi Italia, Campagna Ponti e non muri e Tavola Pellegrini Medioriente.
Un appello che a sua volta si ispira al documento Kairos Palestina, redatto nel 2009, dalle Chiese cristiane di Terra Santa, che in esso affermavano: “Tutti parlano di pace in Medio Oriente e di processo di pace. A oggi, tuttavia, queste sono solo parole; la realtà è l’occupazione israeliana dei Territori palestinesi con la privazione della nostra libertà e tutto ciò che ne consegue”.
I passi avanti degli ultimi anni
Da allora, alcuni passi avanti sono stati fatti. Due anni fa c’è stato il riconoscimento da parte delle Nazioni Unite della Palestina come membro osservatore, con un voto quasi plebiscitario (138 favorevoli; 9 contrari; 41 Paesi astenuti). Dal Belgio all’Irlanda, dalla Svezia alla Spagna, dalla Gran Bretagna alla Francia si sono mossi nella direzione del riconoscimento. E dal 7 gennaio scorso, la Palestina è a pieno titolo il 123° membro della Corte penale internazionale.
«Non capisco perché l’Italia, che ci è sempre stata vicina, tarda a riconoscere lo Stato di Palestina», continua monsignor Twal. «Se l’Italia riconoscerà questo Stato dopo tanti altri Stati, non avrà, in realtà, molto merito. Ma se lo fa adesso, sarà un gesto profetico e coraggioso, e avrà il rispetto di un miliardo di musulmani nel mondo. D’altra parte, la storia può tardare, oppure affrettare i tempi, ma deve registrare che il nostro Stato di Palestina è già nato».
«Non si tratta solo di una questione di diritto internazionale, ma di ascoltare il grido di giustizia che proviene dai nostri fratelli nella fede», afferma don Nandino Capovilla, referente Campagna Ponti e non muri. «I cristiani italiani sentono un legame profondo con la Terra di Gesù. Essi sperimentano la verità delle parole del Salmo 87: “Tutti là sono nati”. E se ogni uomo può dire per ragioni spirituali di essere nato là, non dovranno poterlo dire ancor di più, per ragioni anche etico-politiche, i palestinesi che da secoli vi abitano, nella terra natìa della Palestina?».
«L’Italia deve esprimersi, deve avere una posizione», incalza padre Raed Abusahlhia, direttore Caritas Gerusalemme. «Non riusciamo a capire perché non l’abbia ancora fatto, quando molti altri Paesi si sono già espressi in questo senso. Lo chiediamo come cristiani, come palestinesi, come Caritas Gerusalemme, ma lo chiedo anch’io, semplicemente come padre Raed. Più il numero aumenta, più si può fare pressione affinché vengano applicate le ripetute risoluzioni dell’Onu».
L’Italia finora è rimasta inerte, ma stavolta l’appello, indirizzato a Governo e Parlamento (in particolare, al presidente del Consiglio dei ministri, Matteo Renzi; al presidente della Commissione Esteri della Camera dei Deputati, Fabrizio Chicchitto; al presidente della Commissione Esteri del Senato, Pier Ferdinando Casini; al ministro degli Affari Esteri, Paolo Gentiloni; all’Intergruppo Camera e Senato), ha ottenuto un primo risultato. Il 16 gennaio è iniziata la discussione parlamentare, a seguito della mozione presentata da Sel, ma che annovera tra i firmatari anche esponenti del Pd e del Movimento 5 stelle, e venerdì 23 il dibattito è ripreso. Domani, 27 febbraio, dovrebbe esserci il voto.
«I palestinesi vogliono una vita normale come tutti gli altri»
– Don Nandino, Israele sostiene che il riconoscimento internazionale dello Stato di Palestina comprometterebbe il processo di pace.
«È sotto gli occhi di tutti invece che, proprio il mancato riconoscimento della Palestina ha, di fatto, autorizzato finora la potenza occupante israeliana a proseguire ininterrottamente le sue politiche di occupazione e colonizzazione dei territori palestinesi, rimandando all’infinito un accordo di pace giusta per entrambi i popoli. Il 15 novembre 1988, i palestinesi hanno riconosciuto lo Stato di Israele e accettato che il loro Stato sorgesse solo sul 22% del territorio storico palestinese, quello dei territori occupati del 1967. Israele non ha invece ancora riconosciuto lo Stato di Palestina e neppure esplicitato i propri confini. Infine, per chi dice che il riconoscimento dello Stato di Palestina sarebbe un gesto unilaterale, vorremmo ricordare che lo furono anche il riconoscimento e l’ammissione all’Onu dello Stato di Israele».
– Ma anche questo riconoscimento non rappresenta la soluzione del problema.
«Certo, il riconoscimento non elimina l’occupazione, i muri, il conflitto. Il popolo palestinese vuole giustizia, indipendenza e diritti, a partire da quello irrinunciabile del ritorno alle proprie terre e case. Tuttavia, il riconoscimento dello Stato di Palestina può essere uno straordinario strumento di pressione su Israele».
– Monsignor Twal, sotto quali aspetti considera importante questo riconoscimento?
«Può cominciare a calmare gli animi di un popolo. Riconoscere lo Stato di Palestina non significa poi fermarsi lì. Bisogna continuare ad avere fiducia nella possibilità di dialogo. Ormai il percorso è irreversibile. Si tratta solo di riconoscere un diritto normale, di tutti i popoli. I palestinesi vogliono una vita normale come tutti gli altri».
– Padre Read, crede davvero che Israele si ritirerà dai territori occupati nel ’67?
«No, non lo farà mai, lo dimostra il fatto che continuano a costruire nuove colonie. Non vogliono capire che la pace farebbe bene anche a loro».
Si può aderire all’appello nel sito: https://www.change.org/p/l-italia-riconosca-lo-stato-di-palestina”.