«Eccellenza, ti prego, fallo per me. Lascia il Vaticano e vai a guidare la nunziatura di Washington». Benedetto XVI non può sapere che, quando nel 2011 convince a fatica l’arcivescovo Carlo Maria Viganò a lasciare il Governatorato spinto da dure polemiche e clamori mediatici, 7 anni dopo – nell’agosto del 2018 – lo stesso presule salirà agli “onori” delle cronache per motivi ancora più gravi. Sarà il primo vescovo del terzo millennio, tra i 5.200 presuli in missione nel mondo, a chiedere le dimissioni del Pontefice regnante, papa Francesco, per non essere intervenuto “tempestivamente” contro il cardinale statunitense Theodore Edgard McCarrick reo di presunti crimini sessuali (dimenticando però che sarà Francesco a togliere la porpora a McCarrick). Chiamando in causa, con critiche altrettanto feroci, anche i predecessori di Bergoglio. Le mosse di Viganò rientrato dagli Usa – dove è stato nunzio dal 2011 al 2015 – hanno dunque il sapore della vendetta personale, anche se il presule si presenta come un fustigatore di malaffare e malcostume. A Washington, in realtà, ci va solo per fare un “favore” a Ratzinger che lo convince dopo un confronto franco e serrato, poggiandogli le mani sulle spalle come un vecchio amico, mentre gli sussurra: «Ti prego fallo per me, fai il nunzio». Più che una promozione, una rimozione per sminare la guerra dichiarata da Viganò contro il cardinale segretario di Stato Tarcisio Bertone, a causa di un presunto sistema di lobby, denunciato dal vescovo, in vigore Oltretevere con casi di corruzione e di nepotismo (vizietto da cui non sembra immune nemmeno Viganò...). Accuse – tutte smentite dal Vaticano –, finite sui giornali tramite anonimi dossier fuoriusciti dal Governatorato nell’ambito della cosiddetta Vatileaks.
Viganò, prima di dire sì, resiste con la scusa di non poter lasciare Roma per assistere un suo fratello, sacerdote gesuita, costretto a letto. In seguito sarà lo stesso religioso a smentirlo. Tuttavia, obbedisce e resta negli Usa per circa 4 anni. Appena compie 75 anni (l’età canonica degli ecclesiastici per le dimissioni) lascia la nunziatura, forse con la speranza di diventare cardinale. Dalla Curia, invece, gli ordinano di non abitare più in Vaticano e di andarsene in pensione. Un vero e proprio “schiaffo” per il vescovo che ben presto si avvicina ai “nemici” di Francesco, forte pure dei contatti maturati negli Usa tra i cattolici tradizionalisti vicini a Trump, che di Bergoglio non è proprio un ammiratore. Entra anche in sintonia con ambienti vicini ai quattro cardinali dei Dubia (Dubbi), ostili alle aperture pastorali di Francesco sulla famiglia, tra i quali c’è persino chi, l’americano Raymond Leo Burke, accusa Francesco di eresia.
Più che una denuncia, la lettera di Viganò appare come uno sfregio vendicativo (pubblicata non a caso durante il viaggio del Papa in Irlanda), che però non avrà nessun effetto. «Il Papa è amareggiato, ma non si dimette», filtra infatti dai portavoce pontifici. Sul piano giudiziario, però, qualche cosa potrebbe muoversi a danno del litigioso monsignore.