Un'immagine tratta dal profilo Facebook del Museo Nazionale della Montagna "Duca degli Abruzzi" del CAI di Torino.
Curare le malattie del corpo e della mente con la montagna. Può sembrare un azzardo, un'idea romantica e un po' visionaria. L'esperienza invece dimostra l'esatto contrario. Grazie all'impegno di medici, psicologi ed educatori, ma anche semplici appassionati di montagna, oggi esiste un sentiero in salita capace di sfidare i pregiudizi in nome di una diversa concezione della persona. Si chiama montagnaterapia: è un approccio nuovo, anche se in realtà lavora su elementi antichi come l'uomo. I risultati, piccoli e grandi, sono sorprendenti.
Di tutto questo si è parlato a Torino, in un convegno dal titolo
emblematico: "La montagna unisce aiuta e cura". L'incontro, ospitato in
un luogo simbolo, il Museo Nazionale della Montagna, è stato parte delle
celebrazioni per il centocinquantesimo anniversario della fondazione
del Cai (Club Alpino Italiano).
Da sempre la montagna è uno spazio di crescita spirituale, menzionato
nei testi sacri, abitato da mistici e cercatori di silenzio, capace di
svegliare nell'uomo il senso dello stupore. Antica è anche l'idea di
farne un luogo di salute, come dimostrano le case di cura e i sanatori
che per secoli vi hanno avuto dimora. Ma è solo in tempi recenti che la
montagnaterapia ha varcato il confine un po' incerto delle intuizioni
per diventare un percorso organico e rigoroso, riconosciuto in ambito
sanitario.
La definizione ufficiale parla di «originale approccio
metodologico a carattere terapeutico-riabilitativo e/o socio-educativo».
Il termine è stato usato per la prima volta, proprio sulle pagine di
"Famiglia Cristiana", nel settembre 1999. «E' una parola che ha i suoi
limiti, ma ha il vantaggio di essere molto sintetica» spiega Sandro
Carpineta, psichiatra. «Quando parliamo di montagnaterapia intendiamo un
complesso sistema che coinvolge categorie diversissime di pazienti: in
primo luogo malati psichiatrici, ma anche ex tossicodipendenti, persone
con patologie cardiovascolari, diabetici, disabili motori e sensoriali».
La trasversalità è uno dei punti di forza di questa esperienza, che nel
nostro Paese è riuscita a far incontrare il mondo della sanità con
quello del privato sociale e del volontariato. Il tutto tenuto insieme
dal Cai, che fin da subito ha sostenuto e coordinato i progetti nati a
livello locale.
Attualmente gruppi di montagnaterapia sono presenti in
varie Regioni. Il Piemonte è un centro propulsore molto attivo.
Ascoltare il corpo, sentirsi immersi in una natura accogliente, ma anche
scoprire che insieme si può raggiungere la vetta e guardare il mondo da
un'altra angolazione: ecco gli obiettivi di una sfida ambiziosa e
avvincente. «Pur nella diversità dei percorsi, esistono alcuni
fondamentali tratti comuni» chiarisce Marco Battain, medico, Cai Torino.
«Le dinamiche di gruppo, insieme all'interazione con l'ambiente
circostante, giocano un ruolo primario». Durante gli incontri i pazienti
scoprono che, con umiltà e a piccoli passi, certi limiti si possono
superare.
Per qualcuno sono barriere fisiche, oggi forse un po' meno
insormontabili grazie alla tecnologia.
Al convegno è stata presentata la
Joelette, una particolare carrozzina, realizzata col sostegno della
Reale Mutua Assicurazioni, che permette alle persone disabili di
percorrere le strade di montagna. Per altri invece le barriere sono
interiori: sono gli ostacoli della paura, della solitudine,
dell'incomunicabilità e del disagio psichico. «All'inizio i pazienti
reagiscono alla proposta con grande timore» raccontano Daniela
Parafioriti, psicoterapeuta, e AnnaLaura Ventresca, educatrice
professionale. «Si sentono inadeguati, pensano di non potercela fare.
Questo li porta a riflettere sul loro fisico, a prenderne coscienza. "Se
camminare non è il tuo forte, fanne il tuo debole" diciamo noi per
incoraggiarli. E in effetti col tempo acquistano una sicurezza che poi
li aiuta anche nel quotidiano. La montagna ha il grande pregio di
attenuare le distanze: i ruoli della vita ordinaria sono come messi tra
parentesi, in nome di un obiettivo comune, il cammino appunto, che
unisce tutti».
Una sfida nella sfida. A settembre cinque gruppi piemontesi di
montagnaterapia si sono lanciati in un'avventura inedita: un trekking di
quattro giorni tra le valli Stura e Gesso, nel cuneese. Il percorso ha
unito persone con disagio psichico, medici, infermieri, educatori, guide
e volontari, ma anche amministratori del territorio. L'hanno chiamata
la Carovana della Mente. Ed era una lunga, allegrissima colonna in
viaggio: chi su due, chi su quattro zampe. Sì, perché all'impresa hanno
partecipato anche due asini, due mule e una cavalla.
Il risultato:
un'armonia di gruppo inimmaginabile e la scoperta che oltre i luoghi
comuni si nascondono le sorprese. Una tra tante: perfino gli asini
possono essere dei buoni maestri. «A differenza dei cavalli, di
temperamento più impulsivo, sono animali calmi, abituati a organizzarsi,
a "ragionare"» spiega Luciano Ellena, tecnico di conduzione asinina
«Sono pazienti, hanno un passo costante, che infonde tranquillità, sanno
interagire con l'uomo attraverso molti canali, cominciando dal
linguaggio del corpo». Non solo: «Gli animali si sono dimostrati un
potente elemento aggregante» aggiunge Laura Benzi, dottoressa in
psicologia che sta svolgendo un master in pet therapy. «Hanno suscitato
grande curiosità, portato i malati a distogliere l'attenzione da se
stessi per prendersi cura di altri esseri viventi». E' in esperienze
come questa che la montagna rivela le sue grandi potenzialità e si
conferma una fonte di benessere per tutti «Se è una terapia» conclude
Sebastiano Audisio, infermiere professionale «confesso con gioia di
essere in terapia da quarantacinque anni».