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sabato 05 ottobre 2024
 
 

Montanari: «Botticelli non è una merce per far cassa»

27/06/2013  «Con questà decisione», afferma lo storico dell'arte, «si afferma il principio, del tutto nuovo e contrario alla nostra Costituzione, che la valorizzazione del patrimonio culturale italiano può servire a fare cassa».

«Sono radicalmente contrario. Anzitutto è il metodo che mi spaventa: il ministro dello Sviluppo economico, e non quello della Cultura, cambia il codice dei Beni culturali con un disegno di legge sulle semplificazioni. È inaccettabile: non c’è stata una riflessione preventiva, un progetto, un dibattito tra gli addetti ai lavori. Non si può andare avanti a colpi di decreti omnibus che modificano una legge complessa e articolata come il codice dei Beni culturali il quale dice chiaramente che la valorizzazione del patrimonio culturale deve essere finalizzata all’aumento della conoscenza e non a fare cassa, profitti. Qui si parla di prestito oneroso, di un noleggio, tanto per essere chiari. In sostanza si afferma il principio, del tutto nuovo e contrario alla Costituzione, che il patrimonio culturale italiano può rientrare, sia pure parzialmente, nel circuito economico». 

Affittare le opere d’arte conservate nei musei italiani non piace affatto a Tomaso Montanari, docente di Storia dell'arte moderna all'Università Federico II di Napoli e autore di alcuni pamphlet  polemici: A chi serve Michelangelo? (Einaudi) e La madre dei Caravaggio è sempre incinta (Skira).
«Questa proposta», spiega, «era già stata avanzata dall’onorevole Scilipoti nella scorsa legislatura ed è stata ripresa nella relazione dei saggi nominati da Napolitano in versione ancora più spinta, nel senso che si diceva di affittare le opere anche ai privati. L’articolo 14 del nuovo disegno di legge sulle semplificazioni prevede invece solo il noleggio a musei esteri».

Nel merito, professore, perché non è d’accordo?
«I depositi dei musei, come pensa qualcuno, non sono magazzini polverosi dove le cose giacciono inutilizzate come nella cantina di casa. Sono esattamente come i depositi di una biblioteca. Immagini se uno dicesse: “siccome questo libro non lo chiedono da dieci anni lo diamo in noleggio alla biblioteca australiana”. I depositi sono veri e propri luoghi di ricerca per studiosi e studenti di storia dell’arte. E per la nostra costituzione, articolo 9, il patrimonio è legato alla ricerca. Ogni giorno vengono alla luce opere importanti conservati nei depositi e ripescate proprio grazie al lavoro prezioso di questi ricercatori».

Ma non è meglio esporre queste opere nei musei stranieri anziché tenerle “nascoste”?
«Non credo. L’altro motivo che nega questa idea di ricerca è che il decreto dice che le opere saranno esposte nei musei esteri in spazi dedicati alla storia italiana. È evidente l’obiettivo di promuovere l’Italia come si fa con il parmigiano o la Ferrari. Se avessero detto che i musei stranieri potevano prendere in prestito, anche a pagamento, per accostarle alle loro collezioni, tessendo in questo modo legami di storia dell’arte, poteva anche andare bene. Ma l’idea che facciano un “padiglione Italia” senza alcun legame con le opere presenti in quei musei significa che dietro non c’è alcun progetto culturale ma solo una campagna di marketing e basta che con la ricerca scientifica non ha nulla a che fare».

Si scatenerà la corsa ad accaparrarsi i capolavori più famosi?
«È evidente che nessuno all’estero vorrà pagare per avere opere semisconosciute al grande pubblico. È facile prevedere che i direttori dei musei italiani saranno sottoposti a notevoli pressioni per mettere in deposito grandi capolavori o comunque opere di una certa importanza per poi darle a noleggio. Gli Uffizi, tanto per fare un esempio, hanno in esposizione 25 Botticelli. Vuoi che uno di questi non venga messo in deposito? Poi magari dopo un anno il Qatar chiederà quel Botticelli per noleggiarlo. D’altra parte, questo succede già con le mostre dove ci sono pressioni fortissime per accaparrarsi temporaneamente i grandi capolavori. È un sistema molto fragile e questo disegno di legge fa un’entrata a gamba tesa da parte di uno che non conosce affatto la materia su cui legifera».    

Vede dei rischi per il futuro?
«L’Italia ha sempre avuto un ruolo guida nella civilizzazione europea e mondiale, ora ci vogliamo trasformare in una specie di escort, vogliamo dare a pagamento la nostra cultura. È un cambiamento epocale, storico. L’idea della gratuità del prestito di un’opera d’arte è importante dal punto di vista intellettuale e anche morale e va preservata. L’idea che noi ci facciamo pagare per un Botticelli, Jacopo del Sellaio o Massimo Stanzione incrina un’idea, che è quella contenuta nella nostra Costituzione, della cultura come diritto. È il segno di una mutazione grave che è in atto da tanto tempo e che ora è arrivata ad espugnare anche il codice dei beni culturali. E dopo che succederà? Un minuto dopo si dirà di prestare le opere d’arte anche ai privati facoltosi che hanno belle case. Perché ad un museo sperduto dell’Oklahoma sì e al grande palazzo privato di un magnate no? E poi si passerà alle alienazioni, se un museo dopo vent'anni che ospita un'opera vorra comprarla pagando generosamente chi glielo impedirà di farlo? Si apre una breccia pericolosissima».  

 
 
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