Superare le difficoltà della montagna, guadagnarne la cima, conoscere l’ambiente, le vie, come se tutto fosse scritto sulla propria pelle. E’ l’alpinismo, una pratica, uno stile di vita, un complesso di valori. Il primo: il rispetto. Dell’ambiente, dei compagni, di ciò che sta dentro e fuori di noi.
Perché bisogna essere più "integri” possibile per raggiungere l’agognata cima. Un’eredità culturale nata sul Monte Bianco che i comuni di Courmayeur e Chamonix Mont Blanc vogliono far diventare patrimonio immateriale e culturale dell’umanità dell’Unesco.
Una sfida, una lunga cordata che verrà ripresa il 22 luglio a Courmayeur, nel Nuovo Centro Congressi Sala Monte Bianco, durante il seminario Autour le sommet. Il Monte Bianco patrimonio per l’Alpinismo. Un incontro che tratterà di valori e beni immateriali, di come l’alpinismo sia uno di questi. E che racconterà il Monte Bianco, la sua culla. L’impresa è iniziata nell’aprile 2011 durante la cerimonia di chiusura dei Piolets d’Or, il premio internazionale dell’alpinismo che si svolge ogni anno a Courmayeur e Chamonix e che celebra la migliore ascensione dell’anno e la carriera di un grande alpinista. I sindaci dei due comuni, rispettivamente Fabrizia Derriard ed Eric Fournier, annunciarono ufficialmente la volontà di candidare l’alpinismo a Patrimonio Culturale Immateriale dell’Umanità, sottolineandone l’importanza e i valori globali che trasmette. Non è un caso che proprio le due località siano impegnate affinché l’alpinismo venga riconosciuto come un sapere indissolubile grazie al “sigillo” dell’Unesco.
Questa la materia del seminario del 22 luglio che inaugura il nuovo Centro Congressi di Courmayeur e soprattutto la Sala Monte Bianco, un’aula magna all’avanguardia e dotata di tutte le nuove tecnologie. Ai lavori prenderanno parte il sociologo Enrico Finzi, il giornalista e scrittore Marco Albino Ferrari, il fotografo Enrico Peyrot, moderati da Luigi Cortese. Proprio a Courmayeur, verso il finire dell’Ottocento, muovevano i primi passi gli impavidi ricercatori che, con zaino e piccone, saggiavano la natura granitica e ghiacciata del Mont Blanc, provavano con istinto epico, ma anche rigore analitico le prime salite, prendevano appunti su libretti che ora sono preziosi manoscritti conservati nel museo delle Guide che ha sede proprio a Courmayeur, nel museo Duca degli Abruzzi.
La città valdostana porta in sé le tracce di questo passato sempre vivo,
sempre in ascesa sulla parete ghiacciata. Anzi, l’ha tenuto a
battesimo. La storia lo narra. Nel 1767 giunse nella località alpina,
nota più che altro per cure termali, il naturalista ginevrino Horace
Bénédict De Saussure, studioso e uomo di scienza che si stava dedicando,
in particolare, alle ricerche e alle osservazioni sui fenomeni fisici
in alta quota. De Saussure effettuò numerose ascensioni nei
dintorni di Courmayeur in compagnia di un esperto cacciatore valligiano,
Jordaney detto Patience (Pazienza), che passerà alla storia come il
capo stipite delle guide di Courmayeur.
Lo studioso ginevrino fece pubblicare i resoconti dei suoi viaggi
alpini in quattro poderosi volumi dal titolo Voyage dans les Alpes.
L’opera letteraria e scientifica suscitò grande interesse tra studiosi e
viaggiatori del tempo che vollero anch’essi cimentarsi nell’avventura
dell’esplorazione alpina, un campo allora vergine, aperto alle curiosità
e al desiderio di conoscenza tipico del tempo.
Dai primi Patience, dai semplici montanari trasformati in pochi
giorni in impavide Guide, prese vita nel 1850 il Bureau des Guides di
Courmayeur, ufficialmente riconosciuto nel 1868 come Società
delle Guide di Courmayeur, la prima in Italia e la seconda al mondo.
Molte sono le Guide che da allora a oggi hanno portato in alto il nome
della Società e di Courmayeur, quali per esempio Emile Rey, Arturo
Ottoz, i fratelli Ollier e il mitico Walter Bonatti, diventato l’anno
scorso, a 80 anni, cittadino onorario del Monte Bianco.
Una storia fatta di uomini, cordate e salite raccontata ogni giorno
da Courmayeur, attraverso il museo delle Guide (che compie 150 anni), lo
Sci Club (fondato nel 1912) e il Piolet d’Or. Tracce che fanno ben
capire che quando si parla di alpinismo non si sta trattando solo di una
pratica sportiva, o di un modo di esplorare, di viaggiare, o
semplicemente di passar oltre a una montagna, ma si è di fronte a un
mondo, una cultura, un'eredità che la storia non deve dimenticare.
Ora che le cime sono tante, gli uomini coraggiosi pure, le tecniche e
i materiali diversi, non bisogna dimenticare chi per primo tentò
l’impresa armato di pazienza, coraggio, volontà e soprattutto di un’
insieme di valori da ricordare e tramandare.
Il Patrimonio immateriale e culturale dell’umanità
In seno all’Organizzazione delle Nazioni Unite per l'Educazione, la
Scienza e la Cultura (Unesco), è stata adottata nel 2003 la convenzione
internazionale per la salvaguardia del patrimonio culturale intangibile
(o immateriale, secondo il testo francese della convenzione) che ha
per scopo salvaguardare tradizioni orali e popolari, arte dello
spettacolo, musiche, feste, rituali, artigianato, pratiche sociali e
tradizionali. Beni intangibili, ma non per questo meno preziosi di
quelli tangibili, che devono poter essere identificati come di
interesse culturale dell’umanità e conseguentemente tutelati a livello
nazionale e mondiale.
Un rifugio super tecnologico
Il 23 luglio sarà presentato a Courmayeur, capitale mondiale
dell’alpinismo, il nuovo e ipertecnologico bivacco dedicato all’eroe
delle Grandes Jorasses, Giusto Gervasutti, protagonista della serata
evento Ore indelebili nei nostri ricordi. La futuristica
struttura sarà poi esposta in piazza Brocherel, nel cuore della Perla
delle Alpi, dall’11 al 22 agosto, prima di essere collocata
definitivamente nel Ghiacciaio del Fréboudze a metà settembre.
Il bivacco Gervasutti è da anni uno dei segni della passione
dell’uomo per la vetta. E’ una delle tracce dei tentativi fatti per
conquistarla, dei grandi piccoli passi per strappare all’ignoto metri e
metri delle grandi cime. Ora, il luogo dei ricordi di molti alpinisti, da struttura di legno e lamiera con fuochi e materassini, sta diventando una sorta
di capsula, una scocca di metallo ultratecnologica che sporgerà dalla
roccia del ghiacciaio Fréboudze del Monte Bianco, come una sorta di
binocolo sulla valle. Proprio questi due aspetti del vivere la
montagna, la spinta epica e la ricerca di nuove tecnologie sempre più
sofisticate, caratterizzeranno la serata del 23 luglio.
Il giornalista Marco Albino Ferrari racconterà la figura di Gervasutti con l’aiuto di alcune immagini di un filmato storico.
Ad aiutarlo nella ricostruzione ci saranno un musicista insieme a un
attore che leggerà frammenti del diario dell’alpinista, in particolare
la lunga riflessione scritta la sera prima d’intraprendere la scalata
alle Grandes Jorasses.
Dopodiché salirà sul palco uno dei progettisti che illustrerà le rivoluzionarie caratteristiche tecniche del nuovo rifugio.
La storia di Giusto Gervasutti e del bivacco a lui dedicato
La vicenda di Gervasutti è una delle più epiche
dell’alpinismo. Fu il primo a raggiungere l’allora inviolato sesto grado
di difficoltà. Nel 1942, infatti, Giusto Gervasutti e Giuseppe
Gagliardone superarono con un’arrampicata libera tra le più difficili
del tempo, la parete Est delle Grandes Jorasses che sovrasta la Val
Ferret.
L’impresa divenne un simbolo per gli alpinisti, tanto che nel
1948 una Sottosezione del Sucai realizzò una capanna dedicata proprio
al fortissimo alpinista torinese, a 2.835 metri d’altezza nelle Grandes Jorasses, in ricordo della storica ascensione.
La prima costruzione venne realizzata interamente in legno poi, a seguito di alcuni danneggiamenti, venne completamente ricostruita nel 1961 su un piccolo isolotto roccioso che emerge dal ghiacciaio. Dentro lo stretto indispensabile: una buona dotazione di materassini e forno a batteria, ma non l’acqua corrente.
Oggi, a 40 anni dall’ultimo rifacimento e in occasione dei 60
anni della fondazione della Scuola Nazionale di Scialpinismo, la
Sottosezione Sucai e il Cai Torino hanno deciso di realizzare una
nuova struttura in sostituzione di quella esistente. Un ennesimo omaggio a Giusto Gervasutti e ai tanti alpinisti che superarono i limiti allora conosciuti.
Anche il bivacco è, come allora lo fu l’impresa dell’arrampicatore torinese, una sfida lanciata al futuro. Il primo di una generazione di rifugi ecosostenibili, alimentati con pannelli fotovoltaici e a impatto ambientale ridotto. Il
nuovo Gervasutti è realizzato con una scocca modulare in sandwich
composito, è diviso in quattro ambienti (ingresso, locale per il pranzo,
due camerate da 12 posti letto) per un totale di trenta metri quadri di
1.980 chili di peso.
È stato concepito per essere costruito interamente a valle, elitrasportato e installato con minime operazioni in loco.
Frutto di sofisticate conoscenze nautiche ed aeronautiche, è fatto per
resistere maggiormente alle condizioni dell’alta quota. Al suo interno è
inoltre attivo un sistema dedicato di autodiagnosi e di rilevamento di
dati ambientali interni e esterni e di un punto di chiamata di soccorso.
La struttura è stata ideata dagli architetti Luca Gentilcore
e Stefano Testa e fa parte del progetto Leap (Living ecological alpine
pod) il cui scopo è appunto quello di realizzare bivacchi modulari ed
ecosostenibili per tutto l’arco alpino.