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giovedì 23 gennaio 2025
 
 

Monti, l'Italia non ne può più

05/10/2012  Le proteste degli studenti, come quelle degli operai o degli imprenditori, segnalano il disagio del Paese. La "cura" lo ha stremato, bisogna intervenire.

La protesta degli studenti è, insieme con le sagre dell’uva e del tartufo, uno dei riti sociali più tipici dell’autunno italiano. Stiamo però attenti a non commettere l’errore di sottovalutare quanto sta accadendo in tutte le maggiori città del Paese: cortei, cariche della polizia, manganelli levati, traffico bloccato, disagi per tutti, questa volta s’inscrivono in un quadro di insoddisfazione e indignazione sociale che andrebbe finalmente riconosciuto e affrontato.

Qualunque persona di buon senso e di buona fede sa che il premier Monti ha ragione quando sottolinea che, in un Paese alle soglie della bancarotta, il risparmio inevitabilmente precede il rilancio, i tagli di oggi servono agli investimenti di domani. E che una serie di riforme importanti (le pensioni, il lavoro…), fatte tutte insieme a causa dell’irresponsabilità politica di chi ha più o meno direttamente preceduto questo Governo, non possono che incidere sulla carne viva del Paese.

Il problema è che questo genere di coscienza ormai non basta più. Gli italiani hanno aperto una forte linea di credito al Governo Monti, questo è innegabile. Hanno accettato la dura necessità, accolto i duri provvedimenti, gestito finora con calma le ancor più dure conseguenze. Ma anche la capacità di sopportazione ha un limite. Come ha un limite pure la “scusa” che le risorse per il riordino del bilancio dello Stato vanno trovate in fretta, e quindi pazienza se tasse e sacrifici toccano sempre ai soliti, se i più deboli sono ancor meno protetti, se il lavoro (nella duplice declinazione di chi esegue il lavoro come di chi lo crea) è oberato di balzelli mentre le rendite campano tranquille.

Monti e i suoi ministri devono rendersi conto che anche la loro cura, come tutte le cure d'emergenza, può salvare il paziente ma anche stremarlo, e magari ucciderlo. Tanto più se il paziente Italia si guarda intorno e vede una politica immutata nei suoi riti (che pena gli spettacoli offerti dal Pd e dal Pdl, i due maggiori partiti), autoreferenziale, concentrata solo sulla propria salvezza, sprecona, arruffona, ladra e incapace.

Un giorno sono gli operai in Sardegna, un altro l’imprenditore a San Pietro, il terzo gli studenti. Annunciare la luce in fondo al tunnel va bene. Lo faceva anche Berlusconi, un giorno sì e uno no, ma pazienza. Bisogna però stare attenti: l’effetto dell’annuncio può anche essere di far sembrare il tunnel ancora più lungo. E' ora di fare qualcosa.


Fulvio Scaglione

Gli indignados non ci stanno a mettersi a sedere. L'ondata di protesta in Spagna è continuata con le manifestazioni di piazza che hanno incendiato Madrid la settimana scorsa, per dire no ai drastici tagli imposti dal Governo Rajoy: tre nell'arco di una settimana, a partire da quella del 25 settembre, convocata attraverso le reti sociali dal coordinamento 25-S. Al grido di "No nos rapresentan!" e "La voce del popolo non è fuorilegge", circa 10mila persone - 6mila secondo le autorità - hanno marciato verso il Parlamento: l'obiettivo ero cingere simbolicamente l'edificio per chiedere le dimissioni del Governo e lo scioglimento delle Camere. Ma i manifestanti hanno trovato di fronte a loro una schiera di oltre 1.300 agenti di sicurezza in tenuta anti-sommossa.

Il bilancio dei disordini e degli scontri tra manifestanti e polizia è stato di oltre trenta persone arrestate e più di sessanta feriti, di cui uno grave. A scendere in strada, studenti, e pensionati, liberi professionisti e impiegati statali, disoccupati e attivisti del Movimento 15-M, indignati di tutte le età e i ceti sociali. La disoccupazione in Spagna continua a crescere: a settembre ha registrato 80mila nuovi senza lavoro. In totale i disoccupati spagnoli sono oltre 4.700.000, un tasso del 25,1% (rispetto alla media dell'11,4% dell'Eurozona) con un aumento in tutti i settori, dall'agricoltura all'industria alle costruzioni.

Intanto, la Catalogna sull'orlo del tracollo finanziario prosegue lungo la strada dell'autodeterminazione. L’11 settembre, festa nazionale catalana, a Barcellona un fiume di cittadini si è riversato per le strade invocando l’indipendenza da Madrid. Il prossimo 25 novembre la popolazione della Catalogna è chiamata alle urne per le elezioni anticipate. Il passo ulteriore dopo il voto, ha detto il presidente della Generalitat Arturo Mas, sarà la consultazione popolare sull’autodeterminazione.   

Dopo la Spagna, la Grecia: il 26 settembre il Paese si è fermato in uno sciopero generale per protesta contro le misure di austerità. Almeno 50mila persone si sono radunate nei pressi del Parlamento ad Atene – con momenti di alta tensione e scontro con le forze dell’ordine in piazza Sintagma - per manifestare contro i nuovi tagli alla spesa pubblica per 12 miliardi euro. Tagli che comunque il Governo Samaras vuole portare avanti, nonostante le proteste e il forte malcontento sociale: i tagli serviverebbero a ottenere nuovi aiuti (31 miliardi di euro), senza i quali il Paese rischia la bancarotta.

Il vento dell'indignazione ha soffiato anche in Portogallo: il 15 settembre a Lisbona e in altre città portoghesi varie decine di migliaia di persone si sono riversate in piazza per manifestare contro le misure di austerità varate dal Governo di Passos Coelho.


Giulia Cerqueti

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